Un giorno da ciechi e in carrozzina nel centro di Pescara

disabiliciechicozziPescara. Provare ad attraversare piazza Italia su una carrozzina o con una benda: una simulazione empatica di come disabili e non vedenti sono costretti ad affrontare le barriere architettoniche, anche nelle sedi pubbliche come i palazzi di Provincia, Comune ed uffici pubblici. L’esperienza è stata vissuta questa mattina da alcuni cittadini, qualche giornalista e dall’assessore provinciale Valter Cozzi: l’unico modo per comprendere fino in fondo quanto pesano gli errori degli amministratori, ma anche i più piccoli gesti di inciviltà quotidiana.

C’erano alcuni giornalisti, c’erano dieci ragazzi del Servizio Civile arruolati dalla Provincia di Pescara per l’iniziativa ‘Sicurezza e solidarietà’ ad assistere quei comuni cittadini che hanno voluto raccogliere la sfida di Claudio Ferrante, responsabile dell’Ufficio Disabili del Comune di Montesilvano e provare come si vive a bordo di una carrozzina e si sfidano marciapiedi, rampe e attraversamenti nel traffico. Ma di coloro che dovrebbero eliminare le barriere architettoniche e progettare città più accessibili, dei cosiddetti amministratori, c’era solo l’assessore provinciale alle Politiche sociali Valter Cozzi. C’era anche chi scrive, e questa esperienza empatica l’ha già provata la scorsa estate nel centro di Montesilvano (leggi l’articolo), e con onesta vigliaccheria oggi ha lasciato il posto ad altri colleghi. A loro Ferrante ha chiesto: “Cos’è la disabilità?”. Sulle prime, la penna del primo quotidiano d’Abruzzo e la conduttrice del tg locale non hanno saputo cosa rispondere; tanto meno in seconda o terza battuta, così Ferrante, insieme a Livio Vox dell’associazione Carrozzine determinate, le ha invitate a farle sedere sulle sedie a rotelle per affrontare il circuito che dal piazzale del Municipio è passato davanti agli uffici comunali dell’ex sede Inps, per poi cercare un attraversamento utile ad arrivare a Palazzo dei Marmi, sede della Provincia e della Prefettura. Un percorso nel pieno centro della città, dove le barriere architettoniche dovrebbero essere nulle, che si è presto dimostrato pieno di ostacoli e ricco di pericoli. Le scene che si sono ripetute sono state le stesse vissute a Montesilvano, cosìcché chi ogni giorno scrive e racconta di disabilità con la superficialità della cronaca si è reso conto in prima persona di quanto una macchina parcheggiata davanti ad uno scivolo possa mettere in crisi un disabile; o che quella carrozzina che si vede vagare nel traffico non trasporta un matto senza prudenza, bensì un disabile costretto a rischiare il passaggio tra le macchine in corsa perché lo scivolo che avrebbe dovuto agevolarlo è stato costruito talmente fuori norma da essere troppo ripido o c’è un dente di cemento che non fa salire le ruote: la scelta è tra il cappottamento e il traffico, e la seconda opzione diventa obbligatoria.

L’iniziativa è servita proprio per sensibilizzare la gente comune, ma soprattutto per mettere sotto i riflettori una piazza che tutti i giorni è sotto finestre e occhi degli amministratori, e a quest’ultimi è indirizzata la critica senza censura di Ferrante: “E’ a causa delle norme non rispettate dagli amministratori che un disabile non può vivere la propria dignità di cittadino”. L’esempio più emblematico delle sue parole trova riscontro di fronte all’ex sede Inps: “C’è una rastrelliera per le biciclette sul marciapiede, e i ciclisti la usano secondo la norma: a sbagliare è stato l’ufficio tecnico che l’ha progettata in modo da impedire ad una carrozzina di arrivare allo scivolo”. Nello stesso piazzale “l’esempio della demagogia vergognosa usata da chi amministra la città”, commenta Ferrante, indicando dei cartelli che il Comune ha installato da poco per segnalare con tanto di vistosissimo slogan ad effetto il posteggio riservato alle automobili dei disabili: “Si legge ‘Città accessibile’, ma quel parcheggio è chiuso da una sbarra che riserva il parcheggio ai dipendenti comunali, un privilegio dedicato a chi può camminare e cercare parcheggio altrove sulle proprie gambe”, rimarca Ferrante. Lui e Carrozzine determinate già da dicembre 2010 si battono per l’adeguamento di piazza Italia: “Abbiamo già manifestato e avuto due incontri con l’assessore al Sociale Cerolini”, spiega Vox, “dopo due incontri, la scorsa estate ci ha rassicurato che i progetti per lavori da circa 100mila euro erano già pronti”, ma questa mattina Cerolini si è trovato a passare e interrogato sulla questione ha risposto con aria seccata: “Non so a che punto siamo, dovete chiedere all’assessore ai Lavori pubblici”.

Dopo mezzora impiegata per percorrere 100 metri scarsi in circolo, non essere riusciti a salire nessun marciapiede, non aver trovato scivoli in sicurezza ed aver sentito la faccia rinfrescata dall’aria spostata dalle auto che passano, attoniti i colleghi hanno dovuto concordare con la definizione di disabilità ribadita da Ferrante: “E’ vedersi, dal mancato rispetto delle norme, calpestare la dignità e il diritto umano a muoversi per strada. E’ elemosinare l’aiuto per salire un marciapiede. E’ dover aspettare che un vigile ti risponda al telefono e venga a rimuovere l’auto che occupa abusivamente il parcheggio che ti spetta e che rimane l’unico che ti permette di accedere ad un ufficio pubblico. E’ dover vivere una difficoltà fisica e psicologica in un ambiente costruito ancora più difficile”. Ma solo la sensazione che rimane addosso dopo essersi rialzati da quella sedia può far comprendere a pieno queste parole.

Non ci si sente meglio dopo aver provato a camminare come un cieco. All’iniziativa ha partecipato anche l’Unione italiana ciechi; Fernanda, ipovedente cinquantenne si è offerta di accompagnare nello stesso circuito chi volesse affrontare le stesse barriere architettoniche usando si gambe e piedi, ma con una benda sugli occhi. L’assessore Cozzi ha tentato l’impresa partendo spavaldo, ma anche a lui sono bastati pochi metri per assumere un’espressione sconfortata e attaccarsi saldamente al braccio di Fernanda, chiedendo spaurito “Dove siamo?” ad ogni singola svolta. “Ti si apre un mondo nuovo”, ha commentato una volta sbendato, “ci si accorge che nonostante molto è stato già fatto, si deve ancora fare tantissimo per eliminare le barriere architettoniche”. La convinzione che traspare dalle sue parole mi spinge a provare, ed immediatamente tocca arrendersi al fatto che il bastone bianco usato da Fernanda è l’unica speranza di non cadere, sbattere all’infinità di ostacoli sparsi nella piazza o rimanere investiti dagli automobilisti. Non passano dieci secondi senza incontrare un marciapiede altissimo, un dislivello, una buca, un vaso piazzato ad abbellire l’ingresso del Municipio che risulta una trappola inevitabile. Accanto a noi una ragazza del Servizio civile: non me lo dice ma mi aiuta a schivare un cartello stradale che sporge di parecchio all’interno del marciapiede e ad altezza uomo. “Adesso c’è lei”, mi dice Fernanda, “ma chi non può permettersi un accompagnatore può solo sperare di incontrare un semaforo con segnalatore acustico per attraversare la strada, altrimenti si alza il bastone e si aspetta che gli automobilisti ti vedano e si fermino”. Oppure, dove ci sono, si usano i percorsi tattitili, quelle strisce in rilievo di cemento che indicano il tracciato da seguire: “Ma spesso sono sbagliate, il più delle volte finiscono contro un muro”, svela Fernanda, che intanto mi ha condotto dall’ingresso della Provincia a quello del Comune, mentre io ero convinto di essere arrivato dalla parte opposta. Comunque sano e salvo, grazie al suo udito, al suo bastone e all’assistenza dei volontari: solo tolta la benda si realizza fino in fondo quante trappole architettoniche siano sparse nel pieno centro di una città che si reputa avanzata e accessibile.

 

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Daniele Galli


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