Aveva scritto brani storici come War Ina Babylon e Chase The Devil, Max Romeo, leggenda del reggae giamaicano e protagonista della scena musicale per oltre mezzo secolo è scomparso nello stesso villaggio dove era nato 80 anni fa
Spesso si abusa del termine ‘icona’. Soprattutto quando si tratta di dare l’addio a musicisti o artisti notevolmente influenti. Nel caso di Max Romeo, tuttavia, non c’è appellativo più adatto.

Molto, molto prima di Eddy Grant, Peter Tosh e di Bob Marley Max Romeo ha saputo rappresentare quella voce di protesta determinata dal reggae in una Giamaica che all’epoca era profondamente divisa da tensioni politiche e razziali.
Chi era Max Romeo
Max Romeo si chiamava in realtà Maxwell Livingston Smith, era nato in un sobborgo poverissimo di St. Ann Parish, uno dei paradisi naturalistici dell’isola, ma anche culla di una radice musicale profonda che ha dato vita tra gli altri oltre che a Bob Marley anche a Shabba Ranks, Justin Hinds, Floyd Lloyd… “Tra quelle baracche o diventavi un operaio delle multinazionali dello zucchero o un musicista” dichiarò Max in una delle sue ultime interviste ufficiali.
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A 10 anni Max lavora già nelle piantagioni, e qualche anno dopo segue la madre che si separa dal marito e va a lavorare a Kingston come donna di servizio. In una realtà povera e instabile Max riesce ad avvicinarsi alla musica, la sua grande passione, anche nella grande città. Vende dischi in un negozio, lavora come ‘selector’ – un antenato del DJ nei locali notturni. A 20 anni ha una sua band e registra i suoi primi dischi con i The Emotions.
Wet Dream
Il primo successo arriva nel 1967 con I’ll Buy You a Rainbow, ma è con il provocatorio singolo Wet Dream, zeppo di allusioni sessuali, che Max svolta. Il suo disco diventa un vero e proprio caso: bandito dalla BBC per il suo testo il brano raggiunge comunque la Top 10 britannica, segnando l’inizio di una carriera che lo terrà quasi sempre fuori dai confini giamaicani.
Max Romeo, professione popstar
Di fatto Max Romeo diventa la prima popstar giamaicana soprattutto quando negli anni ’70 abbraccia la fede rastafariana e si dedica a una musica di profonda ispirazione politica. Brani come Let the Power Fall e Press Along Joshua diventano colonne sonore della campagna elettorale del Partito Nazionale del Popolo guidato da Michael Manley nel 1972. Quando le promesse del governo non si concretizzano tradendo le aspettative del popolo che lo aveva votato, Romeo si dissocia e risponde con un inno disilluso e critico: No Joshua No.
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Nel frattempo pubblica canzoni come Macabee Version e Black Equality che diventano una critica feroci all’eredità coloniale e alle disuguaglianze sociali della Giamaica. È proprio in questo periodo che Max Romeo consolida la sua immagine di cantore della giustizia sociale.
War Ina Babylon e l’epoca d’oro
Nel 1976 Max Romeo registra il suo brano più impegnato: War Ina Babylon, prodotto da Lee “Scratch” Perry e inciso con il supporto dei The Upsetters. Il disco esce per la Island Records, che da lì a qualche tempo avrebbe messo sotto contratto nientemeno che gli U2 e contiene alcune delle tracce più iconiche dell’artista fino a essere considerato una pietra miliare del roots reggae.
Il brano che dà il titolo all’album è una denuncia ironica e potente delle divisioni politiche che lacerano la società giamaicana. Chase The Devil, altro capolavoro di quello stesso disco, conosce una seconda vita grazie al campionamento dei Prodigy in Out of Space (1992). Ma a riprenderlo è anche Kanye West in Lucifer di Jay-Z, rafforzando il culto internazionale attorno all’artista.
Max Romeo, artista globale
“Giamaicano dissidente…” così amava definirsi, Max Romeo che nel frattempo viaggia: vive a Berlino, Londra e Parigi. Poi si trasferisce a New York, dove prende parte al musical Reggae come attore e autore. Nel 1980 presta la voce come corista al brano Dance dei Rolling Stones, presenti poi come ospiti d’eccezione nel suo album Holding Out My Love To You. Questo progetto tenta la strada del crossover internazionale e lo porta a una popolarità notevole persino in Giappone. Dove vive per alcuni mesi.
La cosa curiosa è che tra lui e gli Stones nascerà una vera amicizia al punto che la band penserà proprio a lui per intitolare il suo 21esimo album, Bridges to Babylon.
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Nonostante un periodo di difficoltà che lo vede vendere molto meno proprio mentre Eddy Grant, Peter Tosh e gli album postumi di Bob Marley fanno i miliardi, Max Romeo decide di tornare in Giamaica e aprire uno studio di registrazione nella campagna vicino a Linstead. Da qui lancia le carriere musicali dei figli Xana e Azizi, restando una figura rispettata e presente con costanza sulla scena reggae internazionale.
La battaglia legale e l’ultimo tour
Nel 2023, a quasi cinquant’anni dall’uscita di War Ina Babylon, Max Romeo intenta una causa da 15 milioni di dollari contro Universal Music Group e PolyGram Records per presunti mancati pagamenti di diritti d’autore. Le due società chiedono l’archiviazione della causa, ma il gesto segna un nuovo capitolo di lotta per l’artista.
Quello stesso anno parte per il suo ultimo tour mondiale, che lo vede esibirsi in 56 città tra Regno Unito ed Europa. È un addio alla scena accolto con calore da un pubblico transgenerazionale che ne celebra l’eredità. Il suo ultimo concerto in Europa è in Svizzera, a Nyon, un anno e mezzo fa, di fronte a molti amici italiani che lo vanno a trovare in considerazione del fatto che il suo tour non passa da noi. Sul palco con lui la figlia Xana fino all’indiavolato finale con Jamaican Ska.
Max Romeo, il ricordo e l’eredità
Max Romeo viene descritto da chi lo ha conosciuto come una figura gentile, determinata, politicamente impegnata e dotata di grande senso dell’umorismo. A ricordarlo pubblicamente il suo avvocato, Errol Michael Henry, che nel frattempo porta avanti la causa per il riconoscimento dei suoi diritti d’autore: “Era un vero gentiluomo d’altri tempi, un’anima sensibile e un padre amorevole. Era una leggenda, ma anche una delle persone più gentili che si potessero incontrare. Le sue canzoni di protesta più rabbiose non sono gridate, ma sussurrate all’orecchio della sua gente…”