Il dubbio o l’insicurezza possono spingere a tenere sotto controllo le attività del partner quando questo è lontano da noi, ma bisogna fare attenzione a non superare determinati limiti, non è solo malsano per la coppia ma anche illegale.
Si legge di tanto in tanto in articoli pubblicati in rete di modi per assicurarsi che il proprio partner sia fedele tramite applicazioni esterne a WhatsApp o tramite la stessa applicazione di messaggistica istantanea. Si tratta di informazioni che in realtà, anche solo per deontologia professionale, non dovrebbero essere condivise e che possono spingere chi già nutre dei dubbi a compiere azioni che hanno conseguenze, in alcuni casi anche gravi.

Se ne può fare primariamente una questione di etica, poiché spiare qualcuno equivale a compiere un’azione meschina che indica mancanza non solo di fiducia, ma anche di rispetto per la persona di cui s’invade la privacy. La mancanza di fiducia è di per sé un segnale negativo per qualsiasi rapporto, indica che nutriamo dubbi sulla lealtà e sulla correttezza di una persona, motivo per cui probabilmente bisognerebbe considerare l’idea di allontanarsene.
C’è poi la questione legale, perché violare la privacy accedendo a dispositivi che non ci appartengono è un reato specifico sancito dall’articolo 615-ter del codice penale, che si associa persino ad un secondo reato per il quale si verrebbe condannati una seconda volta anche nel caso in cui si tratti di una singola intrusione nell’account della persona spiata.
Oltre al danno, poi, c’è da considerare la beffa. Molte volte si arriva a simili escamotage quando si ha la certezza di un tradimento perpetrato nel tempo e dunque si è alla ricerca di prove che possano essere utili in tribunale durante una causa di divorzio, ebbene bisogna sapere che sarebbe inutile, in quanto prove ottenute in maniera illecita non vengono ammesse in tribunale.
Spiare le chat WhatsApp è illegale sempre: ecco cosa dice a riguardo la Corte di Cassazione
Sulla questione negli anni è sorta confusione alimentata non solo da notizie riportate in maniera impropria, ma anche dal fatto che in più contesti è emersa la possibilità di accedere se si ha l’autorizzazione del partner. Il fatto è che si è diffuso il falso mito che se il partner concede la conoscenza della password si ha l’autorizzazione ad accedere in qualsiasi momento al suo telefono.

La Cassazione ha specificato e ribadito in più occasioni che costituisce reato la lettura delle chat private di WhatsApp, ma anche di Facebook, delle mail e di tutta la corrispondenza telematica anche se la password è stata concessa per finalità diverse. Portiamo l’esempio che per questione di comodità il partner condivide la password, magari per rispondere a chiamate urgenti in sua assenza o per effettuare telefonate in momenti di bisogno, ciò non autorizza a curiosare tra la sua corrispondenza.
Inutile forse aggiungere che la questione è ancora più grave qualora si utilizzino spy-software per bypassare le impostazioni di sicurezza (reato sancito dall’articolo 617 bis del codice penale) e accedere alle conversazioni. In tutti i casi in cui non c’è espressa autorizzazione, si configurano due reati:
- violazione della corrispondenza, punita con la reclusione fino ad un anno e con una multa da 30 fino a 516 euro.
- Accesso abusivo a sistema telematico, reato per cui si configura una pena carceraria fino a 3 anni.
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Controllare le chat dei figli è consentito dalla legge solo in caso di necessità
Diversa e ancora più delicata è la questione se le chat che vengono lette senza permesso sono quelle dei figli minorenni. La legge prevede che i genitori abbiano la responsabilità di vigilare sui figli al fine di garantire il loro benessere, nonché una corretta crescita morale e fisica. Ciò non significa che un genitore può leggere costantemente le chat del figlio o controllare costantemente le attività su pc, smartphone e altri dispositivi.

In questo caso infatti la responsabilità genitoriale va in conflitto con il diritto alla riservatezza garantito dalla legge a tutti i cittadini, siano essi minorenni o maggiorenni. La legge stabilisce infatti che il controllo da parte del genitore deve avvenire solo ed esclusivamente in caso vi sia il sospetto fondato che il minore possa essere vittima di cyberbullismo, coinvolto in attività illecite o esposto a contenuti pericolosi.
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Ne consegue che il controllo della corrispondenza telematica di un figlio debba avvenire solo in caso di estrema necessità e che debba essere una misura eccezionale finalizzata alla tutela del minore stesso. In caso contrario infatti non si tratterebbe di lecita preoccupazione ma di un’attività di sorveglianza arbitraria e indiscriminata, lesiva del diritto alla riservatezza del minore.