Il voto agli italiani all’esterno continua a far discutere, non solo per gli errori di invio delle schede (ci sono casi di doppio invio) e sulle modalità di voto, che possono favorire errori e brogli, ma anche per la discutibile moda di alcuni nostri connazionali che postano sui social network la foto della scheda con il voto appena espresso, magari anche con commenti poco simpatici sul nostro paese e su chi, invece di espatriare per i più svariati motivi, è rimasto in patria (per alcuni perché raccomandato, o ricco o, semplicemente, appartenente a fantomatiche caste di fortunati).
Il paradosso è che, se qualcuno fotografasse la scheda all’interno della cabina elettorale, potrebbe incorrere nel reato di voto di scambio, previsto dal decreto presidenziale N. 570 del 1960, e nella violazione della legge sulla segretezza del voto, la N. 96 del 2008. Il primo reato prevede condanne tra i sei mesi e i tre anni di reclusione e il secondo tra i tre e i sei mesi di arresto.
Reati che dovrebbero valere anche per chi vota “in casa” e poi sbandiera ai quattro venti la sua preferenza, qualunque essa sia.
Tra l’altro c’è chi si chiede perché un italiano che risiede da anni in Australia, per esempio, possa votare a casa sua, mentre uno studente fuori sede o in lavoratore domiciliato al di fuori del proprio luogo di residenza debba, invece, sobbarcarsi il viaggio fino al seggio di appartenenza per esercitare un diritto come quello del voto.