Frane e allagamenti nel Teramano: i limiti della Protezione Civile regionale

roseto_allagata_10“Siamo stati lasciati soli”, si sono lamentati molti sindaci nell’immediato dopo alluvione. “La Regione ha fatto il suo dovere e i sindaci si sono comportati come leoni”, si è difeso l’assessore regionale alla Protezione Civile Gianfranco Giuliante nel corso della riunione di emergenza che si è svolta il 2 marzo a Giulianova. Nel mezzo, tra L’Aquila e le cittadine coinvolte nel disastro, un buco.

“E’ mancato il coordinamento”, ammette un tecnico del Dipartimento della Regione. Ad essere rimaste senza risposta nelle ore drammatiche dell’alluvione, sostengono gli esperti, sono state le tre questioni vitali in situazioni di questo genere: chi deve fare cosa, e quando. “Questo non era un evento cui i sindaci potevano far fronte da soli. Siamo stati salvati dal fatto che in montagna ha cominciato a nevicare, se fosse accaduto ad aprile sarebbe stato un disastro ben peggiore”, riflette un altro tecnico, stavolta della Provincia di Teramo. Molti sindaci sono stati avvertiti troppo tardi sul reale stato dei loro fiumi. Molti, non avendo a disposizione alcun tipo di dato, sono rimasti indecisi su possibili evacuazioni e hanno dovuto diffondere le notizie suonando ai campanelli o telefonando ai conoscenti.
Eppure la legge nazionale parla chiaro. Le Regioni sono tenute alla creazione dei cosiddetti Presidi territoriali, cioè quegli organismi (di solito a livello provinciale) chiamati appunto a dire chi deve fare cosa, e quando. Il centro, la testa pensante in caso di emergenze come quella del primo marzo, capace di analizzare i dati e di smistare i soccorsi. La norma è del 2004. Inutile cercare il numero di telefono. In Abruzzo i presidi non sono mai stati istituiti. In materia di Protezione Civile tutto rimane nelle mani della Regione, dai fondi al personale. Con tutte le conseguenze del caso. L’allerta dei volontari del Dipartimento, per esempio, spetta alla Regione. Tradotto: se in caso di emergenza un sindaco vede un suo fiume che sta per tracimare o una frana che incombe, deve passare prima dalla prefettura e questa a sua volta deve passare l’allarme alla Regione che fa accorrere i volontari. Per i fondi stesso discorso. Molti comuni, soprattutto i più piccoli, non hanno nè i mezzi nè il personale adatto per rispondere ad eventi di questo genere. Un esempio? Circa due terzi delle cittadine teramane non ha un piano di emergenza di protezione civile, vitale per identificare i punti critici del territorio in caso di calamità naturale.
Stesso discorso per la Provincia, cui pure la legge riserverebbe un compito. Teramo non ha mai avuto un piano di emergenza su scala provinciale, anche se una recente delibera di giunta ne ha previsto l’istituzione. Alla Provincia spetterebbero alcuni compiti, ma una chiara legge delega regionale non è mai stata scritta. Negli anni scorsi alcuni fondi sono stati dirottati alla Provincia di Teramo. Circa 70 mila euro l’anno. I compiti? Immensi, in un territorio ad alto rischio idrogeologico e sismico. Dal controllo dei fiumi, ai laghetti (circa 700, e molti il primo marzo hanno rischiato di tracimare), alla difesa del suolo sino allo studio del rischio sismico. I funzionari addetti sono tre. A dire il vero qualche tempo fa la Regione concesse una decina di tecnici. Sei andarono in pensione dopo poco. Più un cimitero degli elefanti che un ufficio chiamato a rispondere in maniera dinamica alle emergenze di un territorio che lo stesso assessore regionale Giuliante con un eufemismo ha definito “stressato”.

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