La scomparsa di Sly Stone segna la fine di un’epoca per il funk e il soul, una carriera straordinaria che lo ha visto rivoluzionare un genere musicale e lo stile della dance
La notizia è stata ufficializzata ieri. Lunedì 9 giugno il mondo ha perso Sly Stone, stroncato all’età di 82 anni a causa di complicanze polmonari durante una dura battaglia con una malattia broncopolmonare che lo affliggeva da tempo.

Il suo vero nome era Sylvester Stewart ma con il suo nome d’arte e la sua band ha imposto e rivoluzionato la musica funk e soul per almeno un ventennio.
Sly Stone e la nascita di un sound rivoluzionario
La storia di Sly Stone è un intreccio di talento creativo, svolte epocali e difficoltà personali che lo hanno costretto in qualche a forgiare una figura di successo, ma anche estremamente sofferta.
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Cresciuto in Texas e trasferitosi giovanissimo in California, Stone ha mescolato generi e culture musicali, portando sul palco una band innovativa, multirazziale e multigenere. Collezionando successi mondiali come Everyday People e Dance to the Music ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della musica.
Un bambino prodigio
Sly Stone cresce nei fermenti culturali e universitari della Vallejo e della San Francisco Bay Area. Già all’età di 8 anni si esibisce con i suoi fratelli nel gruppo gospel Stewart Four, affinando le sue doti di polistrumentista: imparò giovanissimo a suonare chitarra e tastiere diventando con gli anni un ottimo bassista e un discreto fiato per trombone e sax, cosa che lo avrebbe agevolato molto negli arrangiamenti rivoluzionari della sua band.
Nel 1966 fonda Sly and the Family Stone, una band inedita per composizione: musicisti bianchi e neri, uomini e donne insieme. Una scelta che per la verità in America era non solo rivoluzionaria dal punto di vista artistico, ma anche pesantissima sotto l’aspetto politico. Nel 1968 scrive e pubblica Dance to the Music che mescola elementi rock, funk, blues e soul, imponendosi con il caratteristico motto “get on up…and dance to the music!” cantato da Cynthia Robinson che lo renderà popolare in tutto il mondo.
Sly Stone, e i suoi dischi epocali
Nel 1969 si rilancia ulteriormente con Everyday People, un vero inno all’uguaglianza: “I am everyday people” canta Sly con un testo estremamente esplicito: “no better, and neither are you, we are the same, whatever we do”, un chiaro riferimento all’alchimia all’interno della band tra i suoi elementi bianchi e neri. Sono concetti fortissimi per un ambiente culturale come quello statunitense ancora estremamente chiuso e controverso sotto l’aspetto culturale e razziale.
La band partecipa a Woodstock ottenendo un enorme successo, poi al celebre Harlem Cultural Festival imponendosi su una scena sempre più internazionale.

Sly Stone genera il funky
La produzione di Sly and the Family Stone, con la quale il musicista sottolinea il concetto stesso di una famiglia eterogenea e multirazziale prosegue in modo dirompemte anche con There’s a Riot Goin’ On che nel 1971 segna un cambiamento sonoro più oscuro e intimo e ritmi più forti e improntate sulle dinamiche del basso che suona personalmente: nasce il funky.
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Venti anni dopo Prince dirà di avere avuto in Sly Stone e nei suoi primi album un elemento di ispirazione fondamentale. Sono decine i gruppi e i musicisti di successo che lo citano come punto di riferimento della propria formazione artistica. Il tutto nonostante problemi di salute, dovuti soprattutto a continue fasi di dipendenza e astinenza dalla droga, che nel bene e nel male segnando le sue fasi artistiche.
Sly e il concetto di famiglia
Un paio di documentari – su tutti Sly Lives! e Thank You (Falettinme Be Mice Elf Agin), – offrono uno spaccato diretto della sua mente creativa e anche del suo stile di produzione che per l’epoca fu assolutamente rivoluzionario. Le sue vicissitudini pubbliche lo oscillano tra successi e lunghi periodi opachi di assenza quasi totale dalle scene.
Due anni fa era tornato in scena: e nonostante l’età e gli acciacchi, era stato in grado di tornare su un palco, suonare e registrare parecchio materiale per un documentario autobiografico che oggi rendono giustizia a un autentico mito capace da solo di segnare uno stile unico.
Il tributo a Sly Stone
Da anni soffriva di una gravissima broncopneumopatia e negli ultimi giorni le sue condizioni si erano aggravate in modo irreparabile. A scrivere messaggi di cordoglio e affetto tanti musicisti diversi che dimostrano quanto il suo lavoro abbia infranto in modo sostanziale barriere razziali e di genere impensabili una cinquantina di anni fa. Questlove, che ha collaborato al documentario Sly Lives!, D’Angelo, Timbaland, Flavor Flav (Public Enemy)… Ma anche Jay Kay (Jamiroquai), Phil Collins.





