Pescara. Bussi sul Tirino è uno dei più catastrofici esempi in Europa di inquinamento ambientale: si dibatte in tribunale per le responsabilità penali, mentre si rimpalla la responsabilità della bonifica di una discarica da 500mila tonnellate di rifiuti tossici. Un gruppo di studenti di architettura dell’università D’Annunzio di Pescara, invece, sta lavorando al progetto per la realizzazione di un centro di ricerca sull’inquinamento: oltre ad un punto di riferimento nazionale, una valida alternativa ad un nuovo insediamento industriale sul territorio bonificato.
L’ultima stangata ad abbattersi su Bussi è arrivata nel 2007. Ma il cuore del parco nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, il punto d’unione dei fiumi Tirino e Aterno, sorgenti del Pescara che scorre fino all’Adriatico attraversando tutta l’omonima provincia ha visto insediarsi e avvicendarsi una sequela di industrie fin da inizio ‘900. Pertanto, la megadiscarica da 500mila tonnellate di sostanze tossiche scoperta dalla Guardia Forestale è solo il culmine di un ammasso di veleni sputati da fabbriche e stabilimenti chimici sul territorio che li circondava.
L’acqua del fiume ha fatto, in un certo senso, le disgrazie di quella che nel tempo è stata rinominata Bussi Officine: iniziò a sfruttarla nel 1901 la società Franco-Svizzera di Elettricità, divenuta poi Società Italiana di Elettrochimica, che ottenne la concessione di installare impianti per la produzione di cloro, sfruttando il fiume sia per il fabbisogno di acqua dell’industria stessa che per la produzione di energia elettrica. Nel 1907 Bussi divenne la prima produttrice in Italia dell’alluminio mediante il metodo elettrochimico, divenendo un vero e proprio polo chimico-industriale che, dopo la Prima Guerra Mondiale, si concentra sulla produzione del ferro-silicio necessario alle corazze delle navi, dei clorati utilizzati negli esplosivi, e in vari componenti utilizzati per comporre gas asfissianti, irritanti e lacrimogeni da impiegare nei conflitti bellici. Idrogeno e azoto diventano il business nel dopoguerra, e nel 1921 la svolta definitiva con la “Società Elettrochimica Novarese”, che porta alla completa industrializzazione dell’Alta Val Pescara. Alcune testimonianze riportano anche la produzione, intorno al 1930, del gas nervino impiegato in Etiopia dalle campagne di Mussolini. In quel periodo gli impianti passarono sotto la gestione della Montecatini che dal 1960 concentrò lo sfruttamento per la produzione di cloro, clorometani, cloruro ammonico, piombo tetraetile e trielina. Nel luglio del 1966 venne costituita la SIAC (Società Italiana Additivi per Carburanti) che assunse, nel gennaio del 1967, la gestione del settore produttivo piombo-alchili. Tra l’89 e il ‘94 furono potenziati gli impianti per l’acqua ossigenata e per il cloro metano, mentre nel 1995 fu installato un nuovo impianto per la produzione di detergenti domestici. Il resto è storia recente, con l’avvicendarsi di Montedison e Solvay, fino al 2007, appunto, quando vengono scoperte le megadiscariche.
Forse, solo la punta di un iceberg che in oltre un secolo si è infiltrato nelle fibre più profonde di Bussi: la terra, l’acqua e, inevitabilmente, le persone. Sarà un’aula di tribunale, se riuscirà a districarsi tra i 300 testimoni e i 19 imputati, ad attribuire le colpe e il dolo, mentre ancora a lungo si continuerà a discutere se la bonifica spetterà agli enti pubblici o ai privati proprietari dei terreni-discarica; e si parla di miliardi necessari, quindi la discussione non terminerà a breve.
Ma c’è chi pensa al futuro, alla Bussi decontaminata da livelli inquinanti milioni di volte superiori ai limiti di legge; ci pensa il progetto di 6studenti della facoltà di architettura dell’università D’Annunzio di Pescara che sogna di rendere Bussi un centro di ricerca sull’inquinamento ambientale di riferimento nazionale. Un progetto indipendente da ogni sorta di interesse e finanziamento, nato da un workshop sull’acqua e sui siti inquinati e sul diritto alla salute organizzato ad ottobre dall’associazione studentesca 360 Gradi, e da lì proseguito sulle proprie gambe fino a diventare la bozza di una pubblicazione che uscirà ad aprile. Intanto Alessandra Di Lillo e Claudia Fragnelli, due delle madri del progetto, andranno a riferirlo a Marsiglia, nel corso del Forum mondiale alternativo sull’acqua. Senza entrare nel merito delle responsabilità, i 6 futuri architetti propongono di sostituire il rilancio di Bussi, partendo da quello occupazionale che anela un ennesimo stabilimento industriale post-bonifica, con la costruzione di un centro di ricerca diffuso su tutto il territorio, ristrutturando e portando a nuova vita le stesse strutture industriali dismesse, nelle quali istituire laboratori, “seppur il miglior laboratorio a Bussi è quello a cielo aperto”. Biologi, chimici e analisti avrebbero a disposizione uno dei casi-scuola per eccellenza direttamente tra le mani, e il richiamo del mondo accademico e scientifico porterebbe nel paesino abruzzese studenti, da ospitare nelle strutture storiche di Bussi-Officine che un tempo fungevano da dormitori per gli operai; ma anche un’attrattiva turistica condotta in paese da un “parco della memoria” che sorgerebbe attorniato da una serie di percorsi ecologici e piste ciclabili fornite di spazio espositivi, naturalmente incentrati sul tema ambientale. “Non esiste attualmente in Italia una simile struttura di studio per i siti inquinati”, dicono le due studentesse, “per questo potrebbe divenire un polo di riferimento per tutta Italia, e perfino divenire il capo di una rete per strutture simili da far sorgere presso gli altri siti inquinati in Italia come quelli di Casale Monferrato, Val di Sacco o Brescia”.
Naturalmente dopo la bonifica: che rimane l’esigenza primaria per tutti.
Daniele Galli