Pescara. Sono scesi in 26 piazze italiane gli attivisti di Greenpeace con lo striscione ‘Una mela al giorno toglie il pesticida di torno’, al fine di promuovere una produzione agricola incentrata sul biologico e il sostenibile, da preferire alla produzione agricola industriale.
In piazza I Maggio, sabato 24 ottobre, i volontari di Greenpeace travestiti da medici hanno proposto ai passanti quattro impegni concreti per diventare consumatori più consapevoli: “comprerò frutta e verdura bio ai farmer market per tre mesi”; “convincerò cinque amici a mangiare bio”; “non userò pesticidi chimici per il mio orto o giardino”; “chiederò al mio supermercato più prodotti bio”.
Sono quattro dei molti impegni contenuti nella piattaforma SoCosaMangio.greenpeace.it per promuovere un’agricoltura salubre e sostenibile.
Risale a pochi giorni fa la diffusione, da parte di Greenpeace, dei risultati di un’analisi sulle mele acquistate nei supermercati di 11 Paesi europei, Italia compresa. Dai dati è venuto fuori che l’83% delle mele prodotte in modo convenzionale sono risultate contaminate da residui di pesticidi, e nel 60% di questi campioni sono state trovate due o più sostanze chimiche.
Esiste un regolamento europeo (149/2008), che stabilisce quali sono i livelli di tollerabilità (definiti ‘livelli massimi di residui’, LMR) dei pesticidi contenuti nella frutta e verdura che viene distribuita nei supermercati, che perciò è controllata.
Il punto è che il regolamento in questione ha alzato i livelli di tollerabilità dei pesticidi rispetto alla disposizione precedente (396/2005), autorizzando un maggior ‘bombardamento’ di su frutta e verdura; restano comunque fuori dagli standard di approvazione Efsa (European food safety authority) circa 80 tipologie di pesticidi, usati soprattutto nella produzione agricola degli Stati Uniti.
“Serve un sostegno finanziario a favore di un’agricoltura ecologica e sostenibile” ha affermato Federica Ferrario, responsabile della campagna Agricoltura Sostenibile.
Il biologico, se promosso su scala nazionale così come avviene per l’agricoltura industriale, sarebbe probabilmente la scelta di buona parte dei consumatori, soprattutto nelle regioni d’Italia che non hanno un’economia tipicamente agricola, dato che anche il costo andrebbe ad equipararsi a quello del supermercato.