Milano. Umberto Veronesi, uno dei più grandi esponenti della medicina e della ricerca internazionale a colloquio con il nostro giornale risponde alle domande che ogni giorno ci poniamo, con paura ed angoscia sul male per antonomasia. Ma la ricerca, grazie a uomini straordinari come lui, è sempre più vicina alla soluzione definitiva.
Professore, ci spieghi innanzitutto come nasce l’idea di realizzare la Fondazione che porta il suo nome e quali sono i più importanti risultati raggiunti dalla sua creazione ad oggi.
“Se dovessi riassumere l’essenza del pensiero che ho maturato nella mia vita di medico e ricercatore direi: la fiducia nella forza del nostro intelletto, nella capacità di migliorare il mondo che ci circonda e nel primato della ragione. Per questo penso sia importante che la gente si avvicini ai valori intrinseci al mondo della scienza, che è l’espressione più avanzata delle potenzialità dell’intelletto umano. Ho istituito una “Fondazione per il Progresso delle Scienze” appunto per promuovere lo sviluppo della scienza e la consapevolezza che senza di essa non progredisce la civiltà, e per sensibilizzare cittadini e scienziati affinché tutti insieme creino una coscienza collettiva sui grandi problemi e le grandi scelte del progresso scientifico. Una fondazione culturale, dunque, impegnata in una serie di iniziative di promozione della cultura scientifica in tre aree: ricerca, divulgazione, formazione. La FUV sostiene progetti di ricerca innovativi e finanzia borse di studio per giovani ricercatori. La diffusione della cultura scientifica avviene attraverso grandi iniziative di educazione alla scienza, come il ciclo di conferenze annuali “The Future of Science” e il movimento “Science for Peace”. La FUV è impegnata anche nella formazione scientifica dei nostri ragazzi, mediante un programma di intervento nelle scuole che ha come obiettivo la divulgazione semplice e corretta della cultura scientifica”.
Uno dei suoi maggiori impegni, che più caratterizzano la sua sensazionale carriera di medico, ricercatore e scienziato è senz’ombra di dubbio la lotta al tumore del seno. Quanto è stato fatto in questi anni nel senso di un miglioramento dei risultati ottenuti e soprattutto verso la comprensione delle cause scatenanti?
“Il tumore del seno, fino a 30 anni fa una malattia che veniva trattata con interventi demolitivi devastanti e che portava spesso alla morte, è oggi sempre più guaribile, soprattutto se scoperta precocemente: un tumore in stadio iniziale ha probabilità di guarigione vicine al 100%, con effetti minimi dal punto di vista estetico. Il risultato è dovuto quindi in primo luogo alla diffusione e all’efficacia della diagnosi precoce, che oggi è in grado di individuare il tumore in fase sempre più iniziale. Di pari passo abbiamo assistito a un progressivo miglioramento delle cure, sempre meno aggressive e sempre più rispettose dell’integrità del corpo femminile. Siamo passati da una strategia impostata sul fatto che dovevamo somministrare le cure più potenti a disposizione nella quantità massima tollerabile, a quella attuale, fondata sulla ricerca costante di un effetto terapeutico il più possibile mirato e della dose minima efficace, in modo da contenere al massimo gli effetti collaterali fisici e psicologici. In chirurgia si è passati da interventi demolitivi ad una chirurgia conservativa, che prevede l’asportazione dei linfonodi ascellari solo quando è necessario, e che permette alla donna di conservare il proprio seno persino dopo un intervento chirurgico invasivo. Anche la radioterapia oggi non è più diretta su tutta la mammella ma concentrata in alte dosi solo sulla parte malata e direttamente in sala operatoria, subito dopo l’intervento chirurgico: si evitano così sedute di diverse settimane. Di pari passo si sono evoluti i farmaci: se fino a pochi anni fa erano aspecifici e diretti al controllo della proliferazione del tumore, oggi sono sempre più diretti verso obiettivi molecolari, identificati a seguito dello studio delle cellule e dei geni di ogni persona. Inoltre per le donne sane più a rischio (per storia familiare, età, prima gravidanza tardiva e presenza di mutazioni geniche nel profilo genetico individuale) oggi c’è la farmacoprevenzione, cioè la possibilità di proteggere la mammella attraverso l’assunzione regolare di particolari sostanze in grado di ridurre in modo sostanziale il rischio della malattia. Per il futuro, le attese più consistenti si concentrano proprio sul fronte dei farmaci. Oltre ai farmaci cosiddetti intelligenti, mirati a correggere il danno al Dna che è all’origine della malattia, un filone di ricerca particolarmente promettente è quello che riguarda le cellule staminali tumorali, che sono le vere responsabili della crescita della malattia. La ricerca oggi si sta concentrando soprattutto sul modo di identificarle e di bloccarne la crescita. La scoperta più recente riguarda una serie di marcatori specifici grazie ai quali un gruppo di ricercatori italiani ha potuto isolare e studiare queste cellule. Grazie a questa scoperta le cellule staminali del tumore del seno potranno essere utilizzate come bersagli terapeutici per sviluppare nuovi farmaci mirati ad eliminare completamente la malattia. Si tratta comunque di studi per il momento a livello sperimentale”.
L’alimentazione. Lei ha più volte rimarcato, anche in un suo ultimo libro, l’importanza di nutrirsi di alimenti di origine non animale. Professore, ma davvero la carne è tanto dannosa in una corretto stile alimentare e di vita?
“L’alimentazione troppo ricca di carne e di grassi di origine animale è la principale responsabile della diffusione delle malattie legate alla sovralimentazione, ormai endemiche in Occidente e in forte espansione nei Paesi emergenti: malattie cardiocircolatorie, cancro, diabete. Carne e derivati sono alimenti particolarmente ricchi di acidi grassi saturi, sostanze che svolgono un’azione dannosa nei riguardi del nostro sistema cardo-circolatorio, perché contribuiscono ad aumentare i livelli di colesterolo nel sangue. Il 30% dei tumori è dovuto a un’alimentazione troppo ricca di grassi di origine animale. Alcune forme tumorali, come il cancro intestinale, sono direttamente correlate al consumo di carne mentre altre, come il tumore dell’endometrio, sono legate all’obesità. Dobbiamo pensare che attraverso tutti gli alimenti che ingeriamo, noi immettiamo nel nostro organismo una certa quantità delle sostanze tossiche solubili disperse nell’ambiente. Queste sostanze inquinanti sono nocive se le respiriamo, ma lo sono molto di più se le ingeriamo.
Consumando carne, ci mettiamo proprio in questa situazione, perché dall’atmosfera queste sostanze ricadono sul terreno, e quindi sull’erba che, mangiata dal bestiame, (o attraverso i mangimi) introduce le sostanze nocive nei suoi depositi adiposi, e infine nel nostro piatto quando mangiamo la loro carne. Una volta ingerite con la carne, queste sostanze si accumulano più facilmente nel tessuto adiposo del nostro organismo, dove rimangono per molto tempo esponendoci più a lungo ai loro effetti tossici. Ecco perché “Limitare il consumo di alimenti contenenti grassi di origine animale” è una delle raccomandazioni del Codice Europeo contro il Cancro. Questo però non implica necessariamente eliminare dalla propria dieta tutti gli alimenti di origine animale. La mia scelta di essere vegetariano è nata principalmente per motivi etici, per il rispetto per la vita di altri esseri viventi. Sono vegetariano da sempre per ragioni filosofiche, ho il massimo rispetto per la vita in tutte le sue forme, specie quando non può far valere le proprie ragioni: non mi piace festeggiare i piaceri della tavola a spese di altri esseri. E sono convinto che l’alimentazione vegetariana è una scelta che oggi tutti dovrebbero considerare, un cambiamento in primo luogo per la propria salute, ma anche per una più equa distribuzione delle risorse alimentari nel mondo, per la difesa del nostro pianeta e per evitare le sofferenze cui vengono sottoposti gli animali”.
Da qualche lustro ormai sentiamo ripetere ad intermittenza temporale, che si è prossimi all’agognata meta di sconfiggere il cancro. La morte di Steve Jobs, ad esempio, ha scosso l’opinione pubblica anche per il fatto che abbiamo avuto la prova che non esiste soluzione ad alcune forme del male. Neppure per le persone più facoltose del pianeta.
“Innanzi tutto bisogna precisare che la lotta contro il cancro ha ottenuto più risultati negli ultimi trent’anni anni che negli ultimi tre secoli e che, se per alcuni tumori ancora non ci sono cure risolutive, per altri i progressi sono stati enormi. La mortalità complessiva per cancro è in discesa, le cure sono meno tossiche, la chirurgia mutilante è praticamente scomparsa, spesso si mantiene anche la funzionalità degli organi interni, la qualità di vita del paziente è nettamente migliorata. Grazie alla diffusione dei controlli di diagnosi precoce alcuni tumori sono quasi scomparsi, per altri esistono cure che possono essere considerate «definitive», e in molti casi anche le metastasi si possono controllare, cioè limitarle ed impedirne l’ulteriore diffusione. Certo, le percentuali di sopravvivenza sono diverse da tumore a tumore: se per il cancro della mammella la guarigione è vicina all’80%, per altre forme non superiamo qualche punto percentuale. Due le cause principali di questa disparità: prima di tutto il tumore non è una malattia ma tante malattie diverse, in secondo luogo l’efficacia del trattamento dipende moltissimo dalle possibilità di anticipare la diagnosi, anche queste molto diverse. La svolta decisiva nella lotta al cancro si è avuta negli ultimi vent’anni con i progressi ottenuti dalla ricerca biomolecolare, in particolare sulle origini genetiche del cancro. Grazie alla conoscenza del genoma umano, la medicina oggi conosce meglio i casi in cui il tumore è provocato da geni difettosi. Di qui la nascita della medicina molecolare, orientata ad interventi a livello di singolo gene all’interno della cellula, e di una nuova generazione di medicinali anticancro meno tossici e più selettivi. Inoltre la capacità di isolare i geni e di studiare la loro funzione a livello molecolare ha aperto una nuova era nei campi della diagnosi e della terapia, basata sulla conoscenza individuale del profilo genetico e quindi sulle caratteristiche ed esigenze del singolo individuo. Tuttavia il cancro resta una malattia comunque molto complessa, che per essere compresa fino in fondo nei suoi meccanismi richiede un grande sforzo intellettuale. E le nuove tecnologie necessarie alla ricerca genomica richiedono fondi e competenze più difficili da reperire”.
Qualche anno fa il biologo evoluzionista Paul Ewald affermò in una pubblicazione, che probabilmente molti tipi di cancro e di malattie degenerative potessero avere origine infettiva. Virale. Compreso il tumore al seno. Lei cosa ne pensa di questa ipotesi?
“Circa il 18% dei tumori umani in tutto il mondo possono essere attribuiti ad infezioni persistenti di virus, batteri o parassiti. Questo vale per alcuni tipi di tumore del fegato, per la quasi totalità di tumore del collo dell’utero, per il carcinoma gastrico; i linfomi non-Hodgkin. Per questo i trattamenti antibatterici ed antivirali, così come le vaccinazioni, rappresentano un’importante arma contro questi tumori. Per il tumore del seno, però non è stata ancora osservata alcuna origine virale”.
Un’ultima domanda Professore. Come sconfiggeremo il cancro in un futuro, ci auguriamo tutti davvero prossimo; con il bisturi, la prevenzione o la medicina?
“Con tutti e tre. Certamente il bisturi è destinato a sparire a favore di tecniche meno invasive. Il controllo più esteso della malattia verrà dalla ricerca, con l’aiuto delle conoscenze sul Dna umano e le nuove tecnologie in grado studiarlo. Fin da ora, tuttavia, possiamo iniziare ad adoperare le conoscenze che progressivamente acquisiamo per fini pratici: sulla base di conoscenze parziali, anche se approfondite, si può già ridurre il peso della malattia, per esempio attraverso la robotica e le nuove forme di radioterapia mirata. La prevenzione rimarrà comunque ancora per molti anni il cardine della lotta al cancro. Va ricordato che il futuro della lotta al cancro è in mano non solo alla ricerca, ma anche alla politica di sanità pubblica e soprattutto ai cittadini, perché nella prevenzione conta soprattutto la responsabilità individuale”.