La scoperta che sfida i confini della morte: “Possiamo tornare indietro”. Gli incredibili risultati ottenuti dalla ricerca scientifica
Una rivoluzione scientifica senza precedenti sta aprendo scenari che sembravano appartenere solo alla fantascienza. Grazie a una tecnologia innovativa basata sulla riperfusione, gli scienziati potrebbero invertire gli effetti della morte anche ore dopo un arresto cardiaco.
L’impensabile sta diventando realtà, e a dirlo non è un romanzo di fantascienza, ma uno studio pubblicato da New Scientist.
Tutto è iniziato cinque anni fa, quando il neuroscienziato Zvonimir Vrselja della Yale Medical School ha dimostrato che si poteva infondere “nuova vita” nelle cellule cerebrali di un maiale, ore dopo la morte dell’animale. Prelevando i cervelli dai capi macellati, il team ha connesso i vasi sanguigni a una macchina che pompava un mix speciale, capace di ripristinare il flusso sanguigno.
Il risultato è stato straordinario: la corteccia cerebrale, da grigia e morta, è tornata rosa, con cellule che hanno ripreso a produrre proteine. I neuroni, creduti irrimediabilmente persi, hanno mostrato segni di attività quasi indistinguibili da quelli di un cervello vivente. Sebbene l’organo non fosse propriamente “vivo”, non era nemmeno completamente morto.
Rianimare il cervello: un cocktail che sfida il destino
Ora, quel confine incerto tra vita e morte si sposta ulteriormente. La stessa tecnica è stata applicata per la prima volta su un cervello umano, aprendo nuove possibilità mediche. Secondo Vrselja, l’obiettivo è duplice: testare farmaci su tessuti cerebrali attivi e, potenzialmente, salvare vite umane in situazioni critiche. “Siamo consapevoli del peso di questa scoperta e procediamo con la massima trasparenza”, ha dichiarato lo scienziato.
Per anni si è creduto che il cervello non potesse sopravvivere senza ossigeno per più di dieci minuti. Ma i ricercatori hanno scoperto che il vero problema non è la mancanza di ossigeno in sé, bensì i danni causati dal ritorno improvviso del sangue ossigenato nei tessuti. È qui che entra in gioco il “cocktail” sviluppato dal team di Yale, una miscela di molecole capaci di ripristinare il pH e proteggere le cellule cerebrali.
La questione non è solo tecnica, ma profondamente etica. Se il cervello può essere riparato ore dopo la morte, come definire quando una persona è davvero deceduta? Per evitare implicazioni legate alla coscienza, Vrselja e il suo team hanno messo a punto protocolli rigorosi, garantendo che nessuna attività elettrica “organizzata” emerga durante i loro esperimenti.
La riperfusione non si limita al confine tra vita e morte. I ricercatori ora mantengono cervelli umani attivi a livello cellulare per 24 ore, testando nuovi trattamenti per malattie come il Parkinson e l’Alzheimer. L’impatto potenziale è enorme: sviluppare farmaci più efficaci contro malattie neurodegenerative che oggi non hanno cura. “Questa ricerca potrebbe cambiare la vita di milioni di persone”, ha sottolineato Vrselja.