Lavoro nero e caporalato non risparmiano l’Abruzzo: i dati della Cgil

cgil_filleaPescara. L’Abruzzo, prima regione in Italia per gli infortuni e seconda per le morti sul lavoro, non sfugge ai fenomeni del lavoro nero e del caporalato. Presentati oggi dalle sezioni Agricoltura ed Edilizia della Cgil i dati regionali sulle irregolarità lavorative: al capoluogo spetta il bollino nero per il caporalato, divenuto ora reato penale.

Il lavoro sommerso costa all’Italia ben 120 miliardi all’anno, ben il 17% dell’intero Pil. Tra Lavoro nero e grigio, finte partite Iva, finti contratti part-time, retribuzioni fuori busta, immigrazione e clandestina e lavoro minorile, che coinvolgono 400mila persone, una grossa problematica consta nel cosiddetto caporalato. L’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro da parte di chi arruola operai a basso costo attraverso l’intimidazione, la minaccia e la violenza, approfittando dello stato di necessità dei lavoratori, con la complicità delle imprese e delle aziende, mista quasi totalmente all’immigrazione, fino alla scorsa estate erano irregolarità punite con una misera sanzione amministrativa di 50 euro. Da gennaio scorso, invece, Fillea e Flai, sezioni della Cgil dedite ai settori più colpiti dal fenomeno, quello agricolo ed edile, hanno lanciato su scala nazionale la campagna ‘Stop caporalato’, ottenendo con il maxi emendamento settembrino l’istituzione dell’apposito reato. All’articolo 603 del codice penale, infatti, sono stati inseriti due comma che prevedono l’arresto da 5 a 8 anni e la multa da 1000 a 2000 euro per ciascun lavoratore per chi recluta persone e le getta tra campi e cantieri in condizioni di scarsi igiene e sicurezza, per farli lavorare con orari massacranti e compensi ben al di sotto dei contratti nazionali.

“Un fenomeno che non si limita alle solite regioni del sud, ma tocca anche l’Abruzzo con un trend in forte crescita e una diffusione a macchia di leopardo”. A dirlo è stato stamani in conferenza stampa  Silvio Amicucci, segretario regionale Fillea, direttamente dalla Camera del lavoro di Pescara, presieduta da Paolo Castellucci, e i responsabili Fillea provinciali Massimo Di Giovanni e Dovi Aloumon. L’occasione è stata utile per rilanciare ancora una volta l’impegno sindacale sull’argomento – “si deve estendere il reato anche alle imprese che utilizzano il caporalato e tutelare i lavoratori che denunciano irregolarità e sfruttamento” ha chiesto Di Giovanni – e per fornire i dati regionali sul lavoro irregolare.

Se il caporalato colpisce maggiormente la provincia capoluogo, specialmente nella Marsica, dove la raccolta nei campi tocca le percentuali più alte, nel teramano sono le etnie straniere a gestire l’attività; sono i cinesi perlopiù ad “importare” direttamente dalla madrepatria i lavoratori che poi, dalla costa al Gran Sasso, impiegano sotto sfruttamento. “Ciò dimostra il fallimento delle politiche dell’ex governo-Berlusconi sull’innalzamento della flessibilità diretta all’entrata”, commenta Amicucci, “siamo arrivati al punto in cui si comprano i buoni-lavoro dal tabaccaio, e questi sono i risultati”. I risultati, figli dell’inganno che aggira puntualmente la legge appena fatta, non risparmiano nemmeno l’edilizia, dove 7 lavoratori su 10 sono irregolari. In questo settore, dal 19 aprile 2010, quando il rinnovo del contratto nazionale del lavoro ha imposto il limite del 3% alle imprese per avvalersi dei contratti part-time, palesemente in discrasia con gli effettivi orari di un cantiere, l’irregolarità si è avvalsa della stipula di un’innumerevole quantità di contratti individuali con una massa di operai in possesso di partite Iva spuntanti come funghi.

Non solo caporalato. Per irregolarità sul lavoro si intendono una larga gamma di illeciti, ma gli ispettorati provinciali non dispongono di adeguate risorse umane ed economiche per scoprirle tutte: “Se si allargasse la ricerca e se anche la Regione facesse maggiori investimenti e interventi in questo campo si scoprirebbero attività illecite ben superiori”, ritiene Castellucci. Intanto, stando ai controlli che si è riusciti a fare, secondo i dati forniti nel 2010 dal ministero del Lavoro, l’industria abruzzese porta una media (fin troppo poco veritiera) di 14 dipendenti assunti da ogni azienda; l’artigianato addirittura quella di 2,6. Il 42% dei lavoratori agricoli abruzzesi non raggiunge i 51 giorni lavorativi all’anno necessari ai fini previdenziali, e il 24% dei braccianti lavora in nero; in questo settore sono risultate irregolari ben 76 imprese sulle 186 ispezionate (con 339 lavoratori irregolari, 70 in nero, 8 sotto caporalato e 9 clandestini). Non va meglio all’edilizia, dove il 18% lavora in nero o in grigio (finte partite Iva, finti contratti part-time, pagamenti fuori busta): sulle 1805 imprese ispezionate sono fuori norma ben 1137 (875 manovali irregolari, 226 in nero, 130 subiscono i caporalato e 7 sono stati trovati clandestini).

Triste constatare, secondo il segretario provinciale Castellucci, che i settori trainanti dell’economia pescarese, l’edilizia e il terziario, risultino essere quelli meno in regola, seguite dall’industria e dell’agricoltura. L’ispettorato provinciale ha effettuato 1291 controlli nel 2010, trovando 719 aziende irregolari, elargendo multe per 510mila euro e recuperando contributi non versati per 4, 5 milioni. Tra i costruttori 240 su 325 esaminati sono fuorilegge, mentre gli operatori di servizi irregolari sono 396 su 537. L’allarmante percentuale per entrambi e del 74%.

 

Daniele Galli


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