Dal Governo arriva una proposta in ambito previdenziale che lascia molto perplessi: 41 anni di lavoro potrebbero non bastare più per la pensione. Vediamo cosa sta succedendo.
A Palazzo Chigi si continua a discutere su come portare l’Italia fuori dalla Legge Fornero. Del resto abolirla è uno degli obiettivi da portare a “casa” entro la fine della prima legislatura. Ma le cose sono più complicate del previsto. E’ vero che fino ad una quindicina di anni fa era la norma andare in pensione anche prima dei 60 anni ma è altrettanto vero che, nel frattempo, il mondo è cambiato.

E’ cambiata la composizione sociale: oggi la proporzione tra lavoratori e pensionati è completamente sbilanciata; inoltre sono crollate le nascite; infine sempre più giovani emigrano all’estero. Ciliegina sulla torta: rispetto ad una quindicina di anni fa la durata media della vita è aumentata.
Tutti questi fattori combinati assieme rendono davvero difficile dire addio alla legge Fornero senza rischiare di compromettere la situazione dell’Inps. Sui tavoli di discussione ha fatto capolino una proposta che a molti sembra geniale ma a molti altri fa rabbrividire: tagliare l’assegno a chi lavorerà per “solo” 41 anni. In pratica 41 anni di lavoro non basteranno più per avere la pensione intera.
Pensioni, addio a Quota 103: arriva Quota 41 flessibile
Il Governo di Giorgia Meloni è al lavoro ormai da mesi per trovare una valida alternativa alla Legge Fornero che consenta, al tempo stesso, di andare incontro alle esigenze dei lavoratori e di mantenere salde le casse dell’Inps. L’ultima proposta è quella di abolire Quota 103 e sostituirla con una sorta di Quota 41 flessibile.

Quota 103 consente di accedere alla pensione a 62 anni con 41 anni di contributi. Questa misura, rivolgendosi indistintamente a tutte le categorie, nel corso degli anni ha iniziato a pesare davvero troppo sulle casse dello Stato tanto che sono stati introdotti degli incentivi per convincere i lavoratori a non sfruttare questa opzione e restare al lavoro.
L’idea del Governo sarebbe, dunque, quella di abolire Quota 103 con la prossima legge di Bilancio e sostituirla con Quota 41 in versione flessibile. Questa nuova Quota 41 sarebbe molto diversa da quella attuale. Si rivolgerebbe a tutte le categorie esattamente come Quota 103 ed esattamente come quest’ultima avrebbe un requisito anagrafico. La differenza? Una pesante decurtazione sull’assegno previdenziale.
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Quota 41 flessibile: assegni tagliati dopo 41 anni di lavoro
Addio a Quota 103: non c’è ancora nulla di certo ma si sta facendo strada l’ipotesi di sostituirla con una versione flessibile di Quota 41 che, questa volta, si rivolgerebbe a tutti ma a patto di accettare forti tagli sull’assegno.

Quota 41 così come la conosciamo ora permette di andare in pensione a qualunque età una volta raggiunti i 41 anni di contributi di cui almeno 1 versato prima di aver compiuto 19 anni. Non è fruibile da tutti ma solo da: caregivers, lavoratori con invalidità pari almeno al 74%, disoccupati e addetti ai lavori usuranti. Quota 41 flessibile, invece, sarebbe del tutto diversa.
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Essa si rivolgerebbe a tutte le categorie ma verrebbe introdotto il requisito anagrafico di 62 anni. La cosa più allarmante, però, è che per ogni anno di anticipo rispetto all’età per la pensione di vecchiaia – che, al momento, corrisponde a 67 anni – una persona subirebbe una decurtazione del 2% sull’assegno previdenziale. In pratica, se questa misura verrà approvata, una persona che sceglierà di andare in pensione a 62 anni dopo ben 41 anni di lavoro e fatiche, avrà una pensione decurtata del 10%. Nemmeno 41 anni di lavoro basteranno per farci avere la nostra pensione intera.





