Luciana Di Nino, Massimo Di Febo e Paul Critchley partono da punti di vista che apparentemente non hanno nulla a che fare l’un altro, la prima utilizza la luce naturale, del sole, per dare vita alle proprie tele che risultano essere incredibilmente materiche, strati di materia porosa e chiazze di sabbia marina si sovrappongono lasciandosi penetrare da colori talvolta tenui talvolta cangianti, che riflettono, come uno specchio, lo stato emotivo dell’artista nel momento della realizzazione. Guardando le opere di Luciana Di Nino è difficile credere che siano delle “Trasparenze materiche” come lei le chiama, perché appaiono talmente porose da pensare troppo difficile l’attraversamento della luce solare e invece la sorpresa stà proprio qui, l’opera che credi di guardare si trasforma sotto la luce del sole rivelandosi in tutta la sua estrema bellezza e diffondendo la cromaticità dei colori trattenuti dalla tela.
Totalmente diverso è il rapporto che lega Massimo Di Febo all’ambiente, Chiara Strozzieri, la curatrice della mostra, l’ha paragonato un po’ a Gauguin e in effetti la pelle ambrata delle donne protagoniste delle sue tele e i paesaggi eterei che le circondano, fanno pensare alle opere dell’artista parigino.
A spezzare quest’atmosfera eterea arriva l’ronia tagliente di Paul Critchley, l’approccio all’ambiente di quest’ultimo è ludico, giocoso, và a stanare la finzione delle cose proponendo a sua volta una propria finzione che ricongiunge l’uomo alla concretezza dell’ambiente circostante.
Serena Zavatta