Pescara. Tre artisti estremamente diversi tra loro, ma uniti tutti dal medesimo e tortuoso rapporto con l’ambiente, sono quelli che nel pomeriggio di ieri hanno presentato, al Mediamuseum, la mostra “Dialoghi con l’ambiente”.
Luciana Di Nino, Massimo Di Febo e Paul Critchley partono da punti di vista che apparentemente non hanno nulla a che fare l’un altro, la prima utilizza la luce naturale, del sole, per dare vita alle proprie tele che risultano essere incredibilmente materiche, strati di materia porosa e chiazze di sabbia marina si sovrappongono lasciandosi penetrare da colori talvolta tenui talvolta cangianti, che riflettono, come uno specchio, lo stato emotivo dell’artista nel momento della realizzazione. Guardando le opere di Luciana Di Nino è difficile credere che siano delle “Trasparenze materiche” come lei le chiama, perché appaiono talmente porose da pensare troppo difficile l’attraversamento della luce solare e invece la sorpresa stà proprio qui, l’opera che credi di guardare si trasforma sotto la luce del sole rivelandosi in tutta la sua estrema bellezza e diffondendo la cromaticità dei colori trattenuti dalla tela.
Totalmente diverso è il rapporto che lega Massimo Di Febo all’ambiente, Chiara Strozzieri, la curatrice della mostra, l’ha paragonato un po’ a Gauguin e in effetti la pelle ambrata delle donne protagoniste delle sue tele e i paesaggi eterei che le circondano, fanno pensare alle opere dell’artista parigino. Dunque Di Febo in realtà non cerca un vero e proprio rapporto con l’ambiente ma lo refuge creandosene uno proprio, personale, dove accompagna con ferma dolcezza l’osservatore, che resta rapito dalla bellezza di queste donne esotiche ritratte in atteggiamenti quotidiani, come leggere un libro o accarezzare il proprio figlio, e dai suoi paesaggi assolati, con quei fiori brillanti e quelle spiagge dorate degni di un Eden.
A spezzare quest’atmosfera eterea arriva l’ronia tagliente di Paul Critchley, l’approccio all’ambiente di quest’ultimo è ludico, giocoso, và a stanare la finzione delle cose proponendo a sua volta una propria finzione che ricongiunge l’uomo alla concretezza dell’ambiente circostante. Le sue più che tele sono delle installazioni vere e proprie, troviamo per esempio una finestra aperta, che affaccia su una scogliera quasi sommersa dalle onde del mare o un raggio di sole che filtra attraverso le fessure di una tapparella. Quest’ultimo non mette a nudo il suo essere come Luciana Di Nino e non refuge l’ambiente come Massimo Di Febo, Paul Critchley con fare dissacrante denuncia la stupidità dell’uomo che per scoprire se la terra era piatta o tonda restava a studiare sulle tavole, che Paul fa diventare una tovaglia di mare appoggiata su un tavolo, la quale si lascia cadere a strapiombo, trascinando con sé non solo la nave che lo attraversa, ma anche la fermezza controproducente della mente umana.
Serena Zavatta