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Cocaina dal Sud America, 58 arresti. Base operativa sulla costa Teramana

Teramo. Ci sono anche quattro persone residenti della provincia di Teramo tra i componenti di una vasta organizzazione internazionale che gestiva un fiorente traffico di cocaina dal Sud America.

L’organizzazione, che non aveva contatti con la criminalità organizzata, però, era riuscita a tessere una serie di contatti importanti aveva tracciato una serie di rotta dello stupefacente, con la base operativa che portava sulla costa teramana e adriatica in particolare. L’inchiesta, denominata Barrik, ha portato all’emissione di 58 ordini di custodia cautelare in carcere, da parte della procura distrettuale de L’Aquila e l’indagine, partita nel novembre del 2010, è stata seguita dal reparto investigativo dei carabinieri del comando provinciale di Teramo. La polvere bianca, seguendo alcune tratte internazionali dal Sud America (Colombia, Santo Domingo, Cosra Rica), arrivava prima in Europa e poi in Italia, interessando diverse regioni. Nei mesi di indagine, i carabinieri hanno sequestrato più di 50 chili di cocaina pura, per un valore di mercato di 2,5 milioni di euro. La sostanza, però, una volta tagliata e messa sul mercato avrebbe fruttato introiti tre volte superiori. I dettagli dell’importante inchiesta sono stati illustrati questa mattina, in conferenza stampa, nel comando provinciale di carabinieri di Teramo, alla presenza del colonnello Antonio Salemme e del capitano Nazario Giuliani. Quindici dei 58 mandati di cattura riguardano cittadini italiani, e nella fattispecie quattro della provincia di Teramo (Vincenzo Falà di Teramo, Melissa Gaspari di Tortoreto, Cinzia Massetti di Martinsicuro e Gianni Tassoni residente a Colonnella). Va detto, però, che l’inchiesta ha consentito di incastrare tutti e tre i livelli nei quali era articolata l’organizzazione, compresi i capi (cittadini sudamericani), che gravitavano anche tra Alba Adriatica e Giulianova.

Tutta l’indagine è partita nel 2010, grazie ad una dettagliata informativa dell’Aisi (servizi informativi) su quelli che erano alcuni canali seguiti per rifornire il mercato di polvere bianca e i movimenti di alcuni cittadini colombiani che avevano dei contatti con il Paese d’origine per importare droga. Per far viaggiare lo stupefacenti, l’organizzazione aveva escogitato una serie di accorgimenti. Qualcuno la ingeriva (immagazzinando nel corpo fino ad 800 grammi di roba in ovuli del peso singolo di 12 grammi), altri la nascondevano nei pannolini di bambini che viaggiavano sulle tratte internazionali. Per eludere i controlli, poi gli stessi ovuli termo sigillati, venivano in qualche maniera rivestiti da cere aromatizzate al caffè, cioccolata o rum per sviare i cani antidroga di stanza nelle stazioni o negli scali aeroportuali di arrivo. Più volte, i corrieri utilizzati (che venivano ricompensati con cifre tra le 3mila e le 4 mila euro) erano di carnagione chiara, per non destare eccessivi sospetti, e anche delle donne. Oltre ai pagamenti in contanti, l’organizzazione spediva i corrieri in Sud America attraverso una fittizia agenzia di viaggio, con soggiorni in lussuosi alberghi. Oculati erano anche i versamenti all’estero, con compensi inferiori ai 2mila euro, per evitare la tracciabilità di movimenti di denaro per per l’individuazione dei committenti. Diversi i sequestri di droga durante l’indagine, effettuati sia nei paesi di partenza della polvere bianca (Colombia), che in quelle di arrivo (Falconara). A capo dell’organizzazione c’erano tre persone; Joel Dinato Burgos Nunez, Yeudi De Leon Feliz (in carcere ad Ancona) e Mauricio Abelardo Rubio Azuero domiciliato ad Alba Adriatica.