Un esposto alla Magistratura per verificare cosa sia effettivamente accaduto nei laboratori del Gran Sasso la scorsa estate, se i lavori di messa in sicurezza a seguito dell’incidente del 2003 siano stati effettivamente fatti a regola d’arte e la richiesta all’Istituto nazionale di Fisica Nucleare di farsi carico delle spese che, a seguito di questo episodio, ricadranno sui cittadini.
L’associazione dei consumatori Robin Hood vuole vederci chiaro sul nuovo episodio di contaminazione delle falde acquifere del Gran Sasso e sulla mancata comunicazione che ha portato solo diversi mesi dopo l’accaduto, alla conoscenza dell’incidente, con lo sversamento di sostanze inquinanti nelle condotte del Ruzzo subito chiuse.
“Dopo l’incidente del 2003” spiega Pasquale Di Ferdinando, presidente dell’associazione Robin Hood, “eravamo stati tranquillizzati della essa in sicurezza dell’impianto. Ma questo nuovo episodio ci lascia sconcertati e dimostra come il sistema di sicurezza dell’Istituto sia ancora fragile. Inoltre non abbiamo la garanzia che neanche una minima parte di sostanze nocive sia finita nella rete acquedottistica”.
E da parte dell’associazione torna a farsi insistente la richiesta della realizzazione di un registro dei tumori visto che già a seguito del primo incidente di oltre dieci anni fa si era diffusa una “leggenda metropolitana” relativa ad uno strano incremento delle malattie cancerogene nella Valle Siciliana, alla quale poi non venne dato alcun seguito.
“Non dobbiamo dimenticare poi”, continua Di Ferdinando, “che siamo di fronte ad una stagione con scarse precipitazioni di acqua e neve e l’acqua che passa dal potabilizzatore non è esattamente come quella sorgiva. Inoltre lo stesso potabilizzatore non potrà funzionare in caso di piene. Per questo chiediamo all’Infn di farsi carico anche dei costi per garantire il gettito di acqua necessario che, altrimenti, ricadrebbero solo sulle tasche dei cittadini, oltre naturalmente ad attuare una gestione più trasparente delle proprie attività”.