“Esco solo ed esclusivamente se la banca ci dà la certezza di farci continuare con il mutuo, altrimenti non uscirà da questo edificio”. Contattato dalla nostra redazione direttamente al telefono, Marcello Sborgia ci ha confermato di essere armato di una pistola, spiegando le motivazioni che questo pomeriggio lo hanno portato ad asserragliarsi nella sala scommesse di sua proprietà, la Pakundo Bet di Santa Teresa.
“Ho sparato mentre ero al telefono con la banca, è l’unico strumento che mi è rimasto per salvare le case che ho già venduto ai miei clienti”, ci ha racconta mentre dall’altra parte della serranda i carabinieri stanno trattando per farlo desistere. Sborgia, però, ci tiene a sottolineare: “Prima di sparare ho chiesto ai miei collaboratori di andarsene perché avevo intenzione di fare un gesto particolare”.
Esita quando lo deve definire “estremo”, ma nella mente dell’imprenditore la volontà di fare quello che ha fatto era già nata nella prima mattinata. Intorno alle 8:00 di stamani, infatti, sulla propria pagina Facebook aveva accennato ad un “gesto particolare”. Quel gesto provocato da quelli che ritiene “tassi usurai” applicati alla sua compagnia da una banca di cui non vuole fare il nome: “Ho fatto un contratto con loro, ma la banca per motivi suoi non lo ha onorato”, racconta Sborgia, “ha messo in atto altre situazioni, poi si è capito che non hanno liquidi per poterci finanziare. Non c’è avvocato e commercialista che tenga, abbiamo fatto mille proposte, ma in due anni non siamo riusciti in nessun modo ad avere una soluzione. Dovrei rivolgermi alle vie legali, ma si sanno quali sono i tempi della giustizia e non mi posso permettere di aspettare”. Una storia, quindi, consumata per 2 anni: “Non ci hanno mai risposto per iscritto, solo piccole telefonate senza niente di ufficiale”, prosegue Sborgia al telefono, “ho aspettato fino all’ultimo cercando di trovare una soluzione. La problematica è che oggi le banche non fanno più le banche”.
Quindi il racconto di come è passato all’azione: “Stamattina avevo questa intenzione, senza capire bene come e cosa fare, allora ho telefonato al funzionario della banca che mi ha detto le solite cazzate che mi dice da due anni. ‘La stavo giusto cercando per invitarla a una riunione’, mi ha risposto, ma questa persona non può decidere niente per venirmi incontro. Ci ho pensato e ripensato, poi ho chiesto ai miei collaboratori di uscire e ho sparato in aria mentre ero ancora al telefono”. “Li ho fatto uscire perché non voglio far male a nessuno se non a me stesso”, sottolinea, “non voglio fare del male o compiere cretinate, io sono una persona pacifica da sempre, non ho mai fatto una rissa né litigato con nessuno. Questo gesto estremo, purtroppo, sono portato a farlo perché non ho altre armi per difendermi”.
IL DRAMMA DELLA CRISI. Con la voce tesa e con il tono accorato, Sborgia racconta il suo dramma personale e imprenditoriale. “Questa è l’ultima cosa che avrei fatto per cercare di salvare le case ai clienti che ci hanno dato fiducia e che ci hanno affidato i propri risparmi. Prendi dei soldi, fai dei contratti con la gente e poi non puoi consegnargli le case: mi sento come se li ho derubati, mi sento come se avessi fatto un omicidio e non riesco più a convivere con questo peso”. La sua ricostruzione è più o meno questa: dopo aver avviato la costruzione di complesso residenziale da 72 appartamenti ed averne venduti 68 ‘sulla carta’, l’imprenditore della Pakundo Immobiliare è stato coinvolto nell’inchiesta che ha travolto l’edilizia spoltorese e l’amministrazione comunale. Complice il clamore giudiziario, la banca che finanziava Sborgia congela il mutuo necessario a completare le case, quindi Sborgia rimane impossibilitato a consegnare gli ultimi alloggi e ad incassare i compensi definitivi. “Non hanno i liquidi per saldarci”, sostiene al telefono l’uomo, che evidentemente non riesce più nemmeno a restituire i prestiti già richiesti all’istituto di credito. “Ci hanno applicato dei tassi usuari al 26,5%: è desumibile dagli estratti conto che ci hanno inviato”, insiste dal suo cellulare, aggiungendo che gli hanno praticato “altre angherie e nefandezze”. Così il gruppo Pakundo, per rimediare, prova a vendere il cantiere: “Ci eravamo già accordati con una ditta per la vendita, pur rimanendo io e mia moglie garanti”. La banca però, come ci ha scritto in una e-mail che applichiamo integralmente a fondo pagina, gli avrebbe bocciato il piano di vendita: così l’imprenditore si ritrova a sostenere il peso di un cantiere bloccato e dei prestiti gravati da un’ipoteca che minacciano anche il patrimonio milionario (40 milioni sostiene Sborgia) dell’impresa.
Ma a pesare maggiormente sulla coscienza dell’uomo sono le richieste di chi, in mesi di empasse, continua a chiedergli la casa già pagata: “Sono una persona seria, non ho mai dato nessuna fregatura”, si descrive, “e non voglio iniziare adesso. Con la dignità ferita e umiliata, quindi, Sborgia si è deciso al gesto estremo: “Io ho messo in palio la mia vita: è una cosa forte, non la sto facendo a cuor leggero, vorrei ben vedere se loro hanno il coraggio di rischiare una vita umana”, afferma rivolgendosi alla banca alla quale richiede di finire ad erogare il mutuo in suo favore: “Il problema nel campo immobiliare è non riuscire a vendere. Noi abbiamo già venduto ma non possiamo consegnare gli appartamenti perché le banche hanno smesso di fare le banche”, spiega. Da quanto appreso, avrebbe bisogno di un milione e mezzo: “Così vendiamo, incassiamo e finiamo il complesso”, commenta Marcello Sborgia. E pare essere questa la trattativa con l’istituto bancario che anche i carabinieri starebbero attuando per poter mettere fine pacificamente all’ultimo episodio di una crisi che sta mettendo in ginocchio centinaia di imprenditori italiani.
SOSTEGNO E CRITICHE SU FACEBOOK. È forse il primo caso del genere in cui un soggetto che attua una simile protesta si renda disponibile a comunicare con il mondo esterno al proprio rifugio. Oltre al messaggio e alla telefonata avuta con noi, Sborgia si tiene aggiornato leggendo la stampa on-line che sta trattando il suo caso. Inoltre, dopo aver in qualche modo annunciato il suo gesto questa mattina su Facebook, dallo stesso social network si sta tenendo in contatto con tante persone. C’è chi gli chiede spiegazioni, chi come un suo ex operaio lo critica per non averlo pagato da 24 mesi, chi lo esorta a desistere, chi prova a confortarlo e chi li incita a continuare la sua lotta ma in maniera meno rabbiosa e più pacifica. A tutti, Marcello Sborgia risponde cortesemente, spiegando le proprie ragioni e ringraziando accoratamente per l’aiuto morale.
L’E-MAIL INVIATA A CITYRUMORS.
Una e-mail, inviata direttamente da Marcello Sborgia alla nostra redazione mentre è ancora asserragliato nel punto Snai di Santa Teresa, spiega le sue motivazioni. Pubblichiamo la lettera integralmente:
La presente solo per ristabilire la realta dei fatti. Sono e mi chiamo Marcello Sborgia, indagato dal Dottor Varone nella storia di Spoltore tanto per chiarire. Stiamo nel settore delle costruzioni e delle scommesse. Da tempo abbiamo iniziato un complesso immobiliare denominato babyrecidences con 72 appartamenti di cui venduti 68 sulla carta. Dopo i clamori dell inchiesta della procura ed alcune altre vicissitudini la banca che aveva finanziato l’opera non ha piu voluto erogare i sal che ci sarebbero spettati da contratto adducendo varie motivazioni. Tutte le soluzioni da noi prospettate non hanno sortito nessun effetto. Abbiamo capito poi il perchè. Purtroppo la banca che ha finanziato questa opera non ha soldi per poter farci andare avanti col mutuo. Non rivelo il nome della banca in quanto sarebbe sgradevole ed ingiusto parlare di persone od entita che nn siano presenti. Ci hanno applicato interessi pari a circa il 27,50%, ci hanno fatto delle altre angherie che non specifico perchè hanno rilevanza penale. E dulcis in fundus hanno anke bocciato il piano di vendita dell’intero complesso. Si badi bene senza mai dare nessuna risposta per iscritto per nn impegnarsi e potere essere attaccati. Il nostro gruppo vanta propieta per 40 milioni di euro, ciò risulta da una stima fatta da un tecnico per la ipotesi di poter aderire ad un fondo immobiliare di social housing, quindi un attivo diciamo così. Ebbene adesso la mia protesta è tesa solo ed esclusivamente contro questa banca e per smuovere la stessa per farci finire di fare il cantiere con 58 persone che ancora attendono la consegna. Il senso della mia protesta è tesa solo a cercare di garantire la casa a quelle persone che in maniera del tutto naturale si sono fidati della faccia del sottoscritto. Adesso noi possiamo vivere nella povertè e nell’indigenza ma io non posso fare a meno della dignità. Questa banca mi ha fatto perdere la dignità. Non posso guardare mia figlia pensando che gli altri mi possano accusare di averli turlupinati o di averli derubati. La mia famiglia di umili origini di diretta coltivatrice non ha mai fatto a meno della dignità, ed io nn posso fare diversamente. Ieri sera un cliente mi ha inviato un messaggio: “Ciao marcello chiamo in ufficio e mi si alza un muro nn riesco mai a parlare con te, le tue segretarie sono molto brave a dribblarmi. Ti volevo solo dire che sempre e comunque la mia stima e fiducia, ma ti volevo anche dire che ti ho consegnato tutti i miei risparmi, i risparmi di una vita e penso di avere il diritto ad avere la casa per cui mi sono impegnato”. Ebbene di fronte a queste sacrosante dichiarazioni non posso non mettere a repentaglio la mia vita e fare di tutto affinché io debba consegnare gli appartamenti e quindi ripagare la fiducia di cui mi hanno affidato i clienti. Soffro terribilmente passare per quello che non sono, sono un lavoratore che ha dedicato tutte le mie energie a questa impresa, non mi sono mai risparmiato, le ultime ferie (3 giorni a Capri) risalgono al 2007, voglio con questo gesto ripagare almeno in parte la fiducia ripostami. Non è assolutamente una protesta contro i debiti od altra cosa io ciedo alla banca di fare la banca e di espletare cio x cui ci siamo accordati.
Daniele Galli