Nessun colpo di mano, niente di equiparabile all’assalto dalla Capitaneria di porto del giugno 2011 o al lancio del pesce marcio contro i palazzi di comune e Provincia andato in scena mercoledì mattina. Ma gli uomini di mare non potevano rinunciare a far capire a tutta la città in che condizioni sono ridotti a causa del mancato dragaggio. Un carro funebre, quindi, è stato messo alla testa della fiaccolata che oggi pomeriggio, con 500 persone in corteo, ha sfilato per il centro per sensibilizzare la cittadinanza all’emergenza lavorativa, economica e sociale che affligge chi di quel porto non riesce più a vivere. Dentro a quel carro una bara simbolicamente piena del cadavere del porto, dietro gli striscioni e i fumogeni: “La marineria pescarese è sequestrata dentro al suo porto”. Il corteo è partito poco dopo le 18 dall’area antistante la sede dell’Associazione Marinai d’Italia: a comporlo i marinai, gli armatori, i ristoratori e gli esercenti balneari, per ricordare che è un intero comparto economico a rimetterci se il porto rimane chiuso, se il pesce non arriva, se i traghetti turistici scappano in altri scali. Ad accompagnarli le principali istituzioni comunali e provinciali, fino al presidente del consiglio regionale Nazario Pagano, le associazioni Terra Nostra e No Rifiuti Fosso Grande, Riccardo Padovano della Confocommercio, ma soprattutto tantissime persone che hanno applaudito al passaggio della manifestazione. Lentamente il corteo, alla luce delle fiaccole, si è avviato lungo via Paolucci, piazza Italia, con una breve sosta dinanzi alla Prefettura, rappresentanza del Governo sul territorio, quindi via Firenze, via Venezia, via Nicola Fabrizi, dove pian piano altra gente è uscita dai negozi per accompagnare il corteo, mentre la marineria ricordava al microfono le ragioni della protesta: “Ridateci il nostro lavoro”, la richiesta più frequente di chi non chiede aiuti economici, bensì di poter tornare a guadagnarsi il pane. Quindi l’arrivo in piazza Salotto, dove a parlare alla folla sono saliti su di un palco i rappresentanti della marineria, Massimo Camplone, Mimmo Grosso, Francesco Scordella, Giovanni Verzulli, che hanno voluto al loro fianco il sindaco Albore Mascia, il presidente della Provincia Testa, il vicesindaco di San Giovanni Teatino Di Clemente e il sindaco di Abbateggio Antonio Di Marco.
“Oggi siamo tutti insieme a ricordare che Pescara ha un porto, e che quel porto deve tornare a essere navigabile, transitabile, deve tornare a vivere”, ha detto Mascia, “ma ora le risposte devono arrivare da Roma”. Un ultimo intervento di dragaggio è stato promosso dal ministero delle Infrastrutture per asportare 200mila meri cubi dal canale e dalla darsena commerciale, ma i lavori, ancora da appaltare, non prenderanno il via prima del mese di novembre e gli operatori che ruotano attorno al porto non ne possono più di aspettare: disperati, senza lavoro e senza soldi da 250 giorni. Per questo le parole perentorie del sindaco: “E’ il Governo che deve dirci, subito, quando intende cominciare a dragare il nostro scalo per restituirlo alla città. Le Istituzioni locali hanno dato tutta la propria disponibilità, abbiamo fornito migliaia di carte e documenti a Roma, L’Aquila, al Ministero, al Provveditorato alle Opere pubbliche, ora chiediamo noi una sola carta al Governo: quella su cui vogliamo vedere scritta, nero su bianco, la data dell’inizio delle operazioni di dragaggio. Fino a quel giorno non avremo pace: lunedì andremo a Roma, io e il Presidente Testa, e al viceministro Martone porterò le immagini della fiaccolata odierna, gli articoli che domani usciranno sui giornali, i filmati, le foto, affinché a Roma possano rendersi conto della mobilitazione non di una categoria di persone, ma di una città intera. E se non basterà la prossima volta sfileremo direttamente a Roma con la fascia e con tutti i sindaci dei 46 Comuni della nostra provincia”.
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