Era solo fine aprile quando la Polizia municipale si attivava per far sgomberare gli spazi al di sotto del ponte di ferro e il varco di ingresso su via Orazio della pista ciclabile sul lungofiume sud (leggi l’articolo). All’epoca furono individuati 6-7 cittadini stranieri che subito dopo il tramonto si sistemavano sotto le arcate del ponticello per trascorrere la notte, spesso scatenando anche momenti di tensione, risse o schiamazzi. Ora, invece, la situazione si è ingigantita: è inevitabile risalire dall’area di sosta sul lungofiume senza notare le decine di persone che, fin dall’ora di pranzo, arrivano alla spicciolata dal circondario e si siedono all’ombra del cavalcavia della ferrovia, su materassi, assi di legno e cartoni. Vari quelli che giungono a bordo di una mountain bike sgangherata, con gli abiti ancora sporchi di calce e cemento, direttamente dai cantieri della città, e la puzza del caporalato prende a farsi sentire.
Sono circa le 13:00 e rimaniamo sul ponte di ferro ad osservare di nascosto la crescente riunione: una donna serve del cibo in piatti di plastica e contenitori rimediati, l’atmosfera è allegra, scandita da risate e dialoghi accentati di est Europa. Uno dei commensali, con indosso la maglia dei Giochi del Mediterraneo 2009, si dirige verso il vicino mercato coperto con una grossa tanica in mano: va a riempirla direttamente da un manomesso idrante antincendio affisso al muro esterno del mercato. Ma a quanto pare è acqua per lavarsi: le bevande predilette sono la birra e il vino, a giudicare dalle numerose lattine e dai bottiglioni stretti tra le mani annerite. Aspettiamo che arrivi qualche clochard, lo lasciamo sistemare alcuni panni tra le intercapedini del ponte, ordinatamente, come se ognuno avesse il proprio armadietto, e andiamo via.
Torniamo nel pomeriggio, quando i cantieri sono ancora aperti. Il bivacco è spopolato; solo due uomini smunti dormono riparati dai mattoncini dello storico ponte: il traffico è scarso e non li disturba nessuno, solo il rumore delle assi sconnesse smosse dalle bici che percorrono il tracciato ciclabile sopra le loro teste, una volta in ferro e ora pavimentato in legno. Un sopralluogo approfondito ci presenta i segni dell’emarginazione di chi, seppur lavorando, riesce a pagarsi un minimo di vitto, ma neanche un buco di alloggio. L’arte di arrangiarsi: sul muro in alto, ben in fila, scarpe, gavette, posate, sapone, sale da cucina, una stampella rotta, marmellate, pane biscottato, una borsa di pelle, ricambi di bicicletta. Rialzati da un muretto più basso un materasso matrimoniale, prolungato ad altri ospiti con un cartone disteso. Qui la scena più strana: ai bordi sembra ricostruirsi la curiosa cornice del vizio quotidiano, una quantità indefinita di sigarette svuotate, come un immenso posacenere, due rotelle di liquirizia intatte, quasi riposte per lo spuntino prima del sonno; di fronte una specie di salottino: un bancale di legno ricostruisce un ipotetico divano, circondato da succo di frutta e birre. Un ordine sommario: i rifiuti più grandi riposti tra le sterpaglie o nei fossati sottostanti, le “brande” di cartone arrotolate da una parte, taniche e contenitori ammucchiati in un altro, calzini e mutande appese ad asciugare alla rete di recinzione, abiti e zaini riposti in un anfratto.
Ci allontaniamo, nuovamente, intorno alle 19:00, quando la processione dei clochard riprende, in vista della nottata. Degrado per gli occhi, con il centro storico, il mercato e i musei a due passi, una ferita al senso di integrazione della città, ma sostanzialmente il mega-bivacco risorto in via Orazio non costituisce elemento di tensione o criminalità, e per quanto è dato sapere non sono stati effettuati nuovi interventi da parte delle forze dell’ordine. Insomma, cinicamente, quei clochard vivono sotto un ponte e non disturbano nessuno, non fosse per tutti coloro che utilizzano quotidianamente la pista ciclabile per una passeggiata in bici o per allenarsi con il footing, costretti a schivare siringhe abbandonate sull’asfalto, onnipresenti cartoni di vino, lattine e cocci di vetro, e a costeggiare una latrina a cielo aperto, con uno stuolo di escrementi e fazzoletti sporchi ammucchiati su un marciapiede adibito a wc collettivo.
Un atleta attraversa la zona, a corsa svelta e sguardo alto e fisso, come a voler ignorare lo scempio. Un altro sguardo, più alto e ben più fisso attrae la nostra curiosità, quello di una telecamera di sicurezza fissata proprio sopra l’area: peccato sia puntata esattamente verso la parte opposta.
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Daniele Galli