Ieri un peschereccio incagliato, liberato dalla trappola del fondale solo da un rimorchiatore, mentre un altro è riuscito a liberarsi autonomamente. Oggi la simbolica manifestazione di Francesco Scordella, uno dei più animosi rappresentanti della marineria, sceso a piedi nel Canale per dimostrare che si tocca tranquillamente con un fondale ridotto a poco più di 1 metro.
Sono esasperati i pescatori. Sono esasperati gli armatori. Lucio Di Giovanni, presidente della Associazione armatori Pescara prende carta e penna e scrive a tutte le istituzioni coinvolte: Comune, Provincia, Camera di commercio, Procura, Capitaneria di Porto, Regione; a quelle istituzioni cui gli armatori rimproverano “la mancanza di una vera assunzione di responsabilità delle istituzioni”. Protestano nel vedersi davanti tutti i giorni “la palude del porto cittadino”, dove gli episodi quotidiani “rappresentano il punto di non ritorno rispetto ad una situazione drammatica che non può essere ulteriormente tollerata”. Alle istituzioni, Di Giovanni rimprovera “la gestione superficiale e grossolana della problematica questione legata all’insabbiamento del porto canale e dell’avamporto dello scalo cittadino”. Un rimprovero maturato per “due lunghissimi anni, quelli trascorsi dall’ultimo dragaggio, che non sono serviti a prevedere e determinare una nuova iniziativa capace di rimuovere il materiale accumulatosi nelle strutture portuali di Pescara che fosse in grado di dare sicurezza e tranquillità alle attività della marineria pescarese.
Loro, i marinai invece, non si sono fermati: “Giorno dopo giorno abbiamo affrontato i pericoli del fiume e del mare mettendo a repentaglio le imbarcazioni e la nostra stessa vita senza che nessuna delle istituzioni in indirizzo, ognuna per le responsabilità che le compete, abbia affrontato l’emergenza determinatasi con esiti tangibili”, scrive Di Giovanni, “Alle continue rotture degli apparati motori e delle strutture dei nostri scafi abbiamo potuto solo assistere all’avvio di un cantiere di dragaggio la cui funzionalità, evito appellativi per non offendere nessuno, è lasciata alle Vostre singole valutazioni e considerazioni” dice alle istituzioni, “senza, però, non insinuare un legittimo dubbio: a quali soggetti e/o situazioni abbia portato effettivo beneficio questa operazione considerato che le poche migliaia di metri cubi dragati sono stati abbondantemente ricostituite dal normale defluire dell’acqua fluviale o dalle correnti marine?”
“Oggi, però, la misura è colma”, tuona l’armatore interpretando il sentimento dell’intera categoria, “Non siamo più disponibili a continuare a sostenere sulle nostre sole spalle la esposizione economica ed il rischio fisico di una attività che diventa sempre più temeraria per l’evidente impraticabilità del porto di Pescara. Siamo stufi di dover sopportare, sin qui solo economicamente, gli effetti dei continui danneggiamenti delle nostre imbarcazioni e le innumerevoli difficoltà anche per un normale e semplice approvvigionamento di acqua potabile o di carburante”. Se finora si sono attenuti alle “incomprensibili ordinanze della Direzione Marittima”, gli armatori sono ora pronti a passare all’attivazione del ricorso a tutte le Autorità giurisdizionali competenti per individuare e chiamare a renderne conto sulle conseguenze dannose che “andremo a patire”.
“Chiediamo soluzioni ed iniziative anche drastiche e senza escludere la chiusura totale del porto che, allo stato attuale, rappresenta la conseguente e naturale evoluzione di una gestione che si è dimostrata non adeguata per affrontare una emergenza annunciata. Non è più il momento delle parole, degli attendismi e delle promesse, anche a soluzioni strutturali che nulla aggiungono alla gravità del momento, ma è questo il momento di richiamare tutti alle proprie responsabilità senza più equivoci e/o inviti che sin qui hanno solo avuto, per noi, il sapore della beffa”, conclude la missiva.
Daniele Galli