Pescara. Ricorre oggi, l’anniversario del pesante bombardamento, il secondo dopo quello del 31 agosto, che la città di Pescara subì il 14 settembre del 1943. Il primo puntò a distruggere la stazione, questo mirò ad annientare tutti i luoghi strategici della città e si estese anche oltre il centro: circa 900 le vittime.
A ricordare quella strage è una memoria del presidente del consiglio comunale, Antonio Blasioli.
Era un martedì. L’ora dell’attacco all’incirca la stessa di quella del 31 agosto, cioè le 13.00. Dopo il primo bombardamento del 31 agosto molti pescaresi avevano abbandonato la città, ma a seguito della firma dell’armistizio dell’8 settembre alcuni vi avevano fatto ritorno, confidando in una normalizzazione delle fasi più pericolose.
Se l’attacco del 31 agosto mirava a distruggere la stazione, obiettivo in larga parte mancato, il nuovo attacco puntava all’annientamento dei luoghi strategici del territorio, la stazione, gli Uffici pubblici, il centro urbano e questa volta venne colpita anche Porta nuova, rimasta illesa nel primo bombardamento. Venne distrutto il Palazzo su viale D’Annunzio che era stato sede della Prefettura, distrutto il ritrovo del Parrozzo in Piazza Garibaldi e qui venne bombardato e distrutto anche il Circolo Aternino. Nuovamente bombardato fu il centro cittadino e le bombe arrivarono fino a Villa Basile ai colli di Pescara ed a Zanni, zone non molte urbanizzate, a testimonianza della scarsa precisione dei Liberator.
Ma la strage più grave si verificò alla stazione ferroviaria dove la folla aveva preso di mira vagoni carichi di merci. In centinaia, forse migliaia, portavano via di tutto: farina, zucchero, sigarette e sale da cucina rimasti bloccati su un treno nella stazione di Pescara, più o meno dove sorge ora la stazione nuova della città. Le bombe che caddero lì vicino provocarono tra i 600 e i 900 morti, nel raggio di poche centinaia di metri. Il totale delle vittime non fu mai comunicato, né con esattezza, né con approssimazione, come del resto era accaduto per il primo bombardamento. Il risultato di questa nuova incursione, oltre alle migliaia di morti, fu quello di convincere l’80% dei pescaresi ad andarsene di nuovo. Restarono in città solo le persone malate e impossibilitate a muoversi e con loro i famigliari. Si trasferirono fuori città anche gli uffici pubblici: fra cui il Comune che fu trasferito a Spoltore.