Nella nota aziendale, si contesta che l’attività dei medici del Pronto Soccorso si sia fondata esclusivamente sull’individuazione del paziente covid-19 e non covid-19 e che sarebbero accaduti gravi episodi – ben dettagliati nella nota di biasimo – mettendo a repentaglio la salute e la vita stessa dei pazienti. Una censura di questo ha suscitato la reazione dei destinatari, i quali difendono il proprio operato, in primis, evidenziando che nessun protocollo operativo è stato dato loro dalla Direzione sanitaria e, di certo, mai prima della citata nota aziendale.
I medici spiegano che posti di fronte ad un paziente sospetto covid-19, il quale presentava anche altre patologie, in attesa dell’esito del tampone, hanno proceduto a ricoverarlo nel reparto di malattie infettive per poi decidere all’esito del test diagnostico una adeguata collocazione del paziente. Ciò comunque è avvenuto sempre informando il reparto che avrebbe dovuto intervenire sulla patologia concomitante ed anche quello di malattie infettive. Hanno consultato di volta in volta anche lo specialista delle malattie infettive.
Dalla lettera aziendale i sanitari del Pronto soccorso apprendono inopinatamente che la Direzione sanitaria avrebbe voluto che, in presenza di comorbilità, i medici del P.S. avessero proceduto registrando il paziente sospetto covid-19 nella disciplina di appartenenza della patologia più grave e, di fatto, allocarlo nell’Unità Operativa di malattie infettive. È però osservato dagli stessi che tale modalità non gli è stata mai manifestata prima del 14 aprile, data della lettera critica, e di fatto un tale modus agendi nulla avrebbe aggiunto in termini di sicurezza.
Di contro, il personale in parola lamenta di essere stato abbandonato per la scelta di molti specialisti di non visitare i pazienti sospetti nei locali del Pronto soccorso, preferendo agire da remoto. I medici del PS evidenziano che per troppo tempo non sono stati forniti i necessari dispositivi di protezione individuale. Ma assicurano che in un contesto così difficile, ed anche nel lasso di tempo successivo alla chiusura del presidio di Pescina è di Tagliacozzo, hanno gestito circa 110 pazienti sospetti covid-19, rischiando la loro vita e quella dei loro familiari, ma di certo mai esponendo quella dei malati.
Ci tengono oggi a far conoscere questa verità. E’ stato grazie al loro coraggio, alla loro esperienza e alla loro professionalità che si è riusciti a fronteggiare una situazione di emergenza, e mai avrebbero pensato di ricevere una nota di biasimo di tal fatta.
Si domandano, poi, che fine abbiano fatto i D.P.I. donati da molte associazioni proprio ai sanitari del Pronto soccorso, come possa giustificare la Direzione sanitaria l’assenza di un percorso per inviare il paziente stabile con sospetto covid-19 direttamente presso il reparto di malattie infettive, tenuto conto dell’ultimazione dei lavori per costituire un percorso esterno ad hoc.
Ora attendono che sia la Direzione sanitaria a spiegare molte cose che sono accadute in queste giornate convulse.
Per conto loro i sanitari coinvolti sono anche disposti ad accettare consigli, orientamenti, del tutto assenti prima del 14 aprile. Ed anzi esigono che la Direzione sanitaria fornisca finalmente un protocollo operativo, ma a patto che le indicazioni siano aggiornate agli studi più recenti e autorevoli della comunità scientifica, in particolare per quanto riguarda l’individuazione e il trattamento dei pazienti con patologie riconducibili al covid-19, e che siano comunque condivise con il personale che opera in prima linea. Ciò che non possono tollerare è però l’accusa di aver messo a repentaglio la vita dei pazienti. Tale censura era già stata esposta in un’assemblea convocata in due ore nel giorno di venerdì Santo, poi è seguita la nota di biasimo del 14 aprile. I sanitari non ci stanno.
La Direzione potrà rimediare presentando formali scuse, che, però, precisano i medici, saranno gradite soltanto se sincere.