Dentro i confini del Parco Gran Sasso rimangono protetti sia gli animali che gli imprenditori, risarciti dai danni causati dalla fauna selvatica. Ma ai confini dell’area protetta? Per dibattere sulla “discriminazione”, si è tenuta a Castel del Monte, indetta dagli amministratori locali e alla presenza dell’agronomo del Parco Guido Morini, una riunione per discutere sui provvedementi che allevatori e agricoltori usano per difendere terreni e allevamenti dalle scorribande dei cinghiali. In particolare si è discusso di un vasto recinto in via di costruzione nella piana tra il borgo ai piedi di Campo Imperatore e Calascio.
Quasi violenta la reazione di Dino Rossi, presidente del Cospa Abruzzo, associazione a tutela degli allevatori e agricoltori, nei confronti dei due allevatori che vorrebbero stendere nella piana di San Marco reti e pali di legno per un perimetro di quasi 4 chilometri, su una superficie di 50 ettari di terreno. “La rete”, dice Rossi, “è finalizzata a limitare i danni solamente ai due imprenditori, in quanto risulterebbero i più danneggiati: scelta scellerata e idea egoistica”, sottolina il presidente Cospa. Questo, inoltre, lo spunto per attaccare l’Ente Parco Gran Sasso e Monti della Laga “che invece di risolvere il problema alla radice con metodi consentiti dalla legge”, spiega Dino Rossi, “aggrava i problemi agli altri agricoltori con le recinzioni, in quanto i cinghiali si concentrano nei campi limitrofi e fuori l’area protetta già fortemente compromessa dalle scorribande di questi animali”.
“Già in passato”, ricorda il presidente del Cospa, “sono state recintate intere aree al fine di limitare i danni all’interno del parco ma il risultato è stato che i cinghiali si sono riversati fuori l’area protetta facendo migliaia di euro di danni agli agricoltori fuori Parco, agricoltori che vengono ripagati dalla Provincia in maniera nettamente inferiore agli agricoltori ricadenti nella zona protetta”. Pesante l’accusa dell’associazione di categoria :”Ancora oggi si seguita a fare delle scelte errate a discapito di chi effettivamente lavora. E’ ora di finirla di dare i contentini agli amici degli amici”, punta il dito Rossi, “gli agricoltori fuori parco sono stufi di alimentare e sfamare gli animali dell’ente parco, visto che hanno i loro animali nelle stalle da accudire. E’ ora che il parco faccia il proprio lavoro, per il quale vengono pagati dalla società, visto che”, conclude Dino Rossi, “l’ente costa allo stato la bellezza di 10 milioni di euro per la normale amministrazione, senza calcolare i danni all’agricoltura, alla flora e alla fauna selvatica”.