Il reparto di reumatologia di L’Aquila, che vanta una fetta del 25% di utenti da fuori regione, batte da anni sul tasto della prevenzione, spiegando cosa fare ai primi sintomi sospetti e a quale specialista rivolgersi.
La diagnosi precoce è lo snodo decisivo per impostare una terapia efficace che può portare, se fatta tempestivamente, a una percentuale del 50% di guarigione dei casi.
Il reparto reumatologia dell’ospedale San Salvatore, diretto dal prof. Roberto Giacomelli, da anni in prima linea sul fronte della divulgazione medica e della mole di prestazioni, assicura 3.500 visite ambulatoriali e oltre 1.200 accessi per day hospital l’anno.
Un reparto che, in Abruzzo, si carica sulle spalle circa un terzo dei pazienti della regione e che è molto ‘gettonato’ nelle regioni limitrofe, soprattutto Lazio, Marche e Campania.
“L’artrite reumatoide”, dichiara Giacomelli, “,a dispetto dei continui sforzi divulgativi fatti per sensibilizzare la collettività, è ancora poco conosciuta. Saper cogliere un primo segnale, rappresentato da un gonfiore o da un dolore alle articolazioni, e sottoporsi subito a visita dal reumatologo, è fondamentale per disinnescare sul nascere il processo cronico della malattia.
La patologia, se non fronteggiata per tempo e se non monitorata tramite controlli periodici e terapie adeguate, col tempo può interessare, oltre alle cartilagini ossee, organi come polmoni, fegato e cuore, aggiungendo altre complicazioni.
Quando la patologia si trova in questa fase diventa molto più difficile gestirla, oltretutto con costi molto elevati per le casse della sanità. Basti pensare che quando l’artrite reumatoide si accompagna ad altre malattie ogni paziente viene a costare dai 17.000 ai 20.000 euro l’anno. A far lievitare i costi del trattamento sono in particolare i farmaci biotecnologici, prodotti molto sofisticati, diversi dalle tradizionali terapie”.
L’artrite reumatoide può colpire già tra i 25-30 anni mentre, in età infantile, l’esordio si registra anche a distanza di 6 mesi di vita. Più vulnerabile il sesso femminile: dei 550 pazienti attualmente seguiti dal reparto dell’ospedale di L’Aquila, circa 350 sono donne, più esposte al rischio per fattori genetici.