Chieti. Vivere senza stipendio da nove mesi. Accendere un mutuo, comprare casa, metter su famiglia, sperando di poter contare sulla certezza di un fisso mensile. Una certezza che viene a mancare così, da un giorno all’altro, senza preavviso.
Ed ecco che ti ritrovi nel baratro che mai avresti potuto immaginare, i conti non tornano, le spese sembrano più alte di quanto lo siano in realtà e cresce sempre più la paura di non farcela, di non arrivare a fine mese, di non riuscire a dare un futuro a quella famiglia che con tanti sacrifici hai deciso di creare.
È questa la condizione del personale di Villa Pini. Di loro si parla ogni giorno, da due anni riempiono le pagine dei giornali e in tutto questo, loro, i diretti interessati, si sentono come pedine nelle mani di chi vuole strumentalizzarli a proprio piacimento.
Da quando tutto è cominciato sono cambiate tante cose nella clinica più famosa d’Abruzzo.
Delle 2500 persone impiegate, 1600 sono andate via, hanno trovato la loro “alternativa”. E sono rimasti coloro che avevano meno possibilità di trovare un altro lavoro, chi perché avanti negli anni, chi perché pur essendo ancora giovane si è trovato scoraggiato di fronte alla possibilità di non riuscire a trovare un altro impiego a causa del difficile momento vissuto dal mondo del lavoro.
Vivere nove mesi senza stipendio non è semplice e il clima lavorativo si fa sempre più pesante e teso. “Ai dipendenti che hanno scelto di restare, non rimane altro che la speranza” dice uno di loro. “La speranza che tutto si possa risolvere al più presto”. E a spingerli c’è anche la voglia di non abbandonare i pazienti. “C’è gente che ogni giorno percorre molti chilometri per raggiungere il posto di lavoro e lo fa esclusivamente per amore del proprio mestiere, per aiutare chi ha davvero bisogno e per evitare che a farne le spese siano alla fine i pazienti, già provati dalla loro malattia, alcuni anche in fase terminale”.
Nove mesi senza stipendio sono un’eternità e possono portare anche all’esasperazione. “Su 690 dipendenti che lavorano in clinica (gli altri sono impiegati nelle strutture esterne, come la clinica S. Maria di Avezzano, la Cicala di Atessa e le altre nove strutture sparse nel comune di Chieti, ndr), 500 hanno deciso di mettersi in malattia. Ed è proprio grazie alle 190 persone rimaste che è stato scongiurato il rischio della chiusura definitiva della clinica. Chiudere la clinica, infatti, avrebbe rappresentato la fine di ogni speranza, significava chiudere definitivamente le porte in faccia ai dipendenti che ci hanno creduto fino alla fine. E che continuano a crederci”.
Una speranza che viene alimentata ogni giorno da voci di un possibile ritorno alla normalità.
Proprio in questi giorni gira voce di un possibile accordo stipulato dalla famiglia Angelini con un famoso istituto neurologico molisano. Sembra che quest’ultimo sia ad un passo dall’acquisto del 51% della clinica; il restante 49% resterebbe nelle mani di Angelini, che potrebbe riacquistare la percentuale venduta entro dieci anni. L’entrata in scena del nuovo partner potrebbe risolvere i problemi di insolvenza nei confronti dei dipendenti, arriverebbe la liquidità tanto attesa e si rimetterebbero in pari i pagamenti.
Le stesse voci di corridoio, inoltre, parlano di un commissario in arrivo entro il prossimo 12 gennaio, che servirebbe ad aprire la porte e ad affiancare il nuovo partner. “A breve dovrebbe ripartire tutto. Noi continuiamo a crederci, non molliamo. C’è gente che ha visto nascere questa clinica e non vuole vederla affondare”.
Ma qual è l’opinione che i dipendenti di Villa Pini hanno del loro datore di lavoro?
“Tutti sanno quello che Angelini ha fatto in passato. Avrà sbagliato, avrà pagato tangenti, non avrà avuto un comportamento del tutto impeccabile, questo non lo so e non spetta a me dirlo. La giustizia farà il suo corso. Quello che so è che Vincenzo Angelini ha dato a me, e a tutti quelli che operano in questa clinica, un lavoro dignitoso, la possibilità di creare una famiglia o comprare una casa. Certo la rabbia è tanta, perché come ci ha dato tutto questo, così ce lo ha tolto in un attimo, mettendoci quasi in ginocchio”.
E qual è il clima che si respira nella clinica? “Sicuramente non c’è più l’armonia di una volta. E sono sempre meno anche gli stimoli per lottare in difesa dei propri diritti. Soprattutto in seguito alla spaccatura interna verificatasi tra i sindacati, che ha portato a divisioni interne anche tra il personale. Ognuno vuole fare i propri interessi. Così come la Regione e la politica tutta. Pensano di tutelarci, ma in realtà non fanno altro che rimbalzarci da una parte all’altra. Sono sincero, spesso ci sentiamo davvero abbandonati, soprattutto dai politici locali. A volte non si vede via d’uscita”.
E si rimane inermi e impotenti di fronte ai propri malati, a coloro che cercano consolazione nello sguardo e nei gesti di chi è lì, pronto a curarli, quando è possibile. Nonostante porti addosso il peso di una famiglia che non sa come mandare avanti. Nonostante viva da nove mesi senza stipendio.
Marina Serra