Così in una nota il segretario provinciale di Fiom Chieti, Davide Labbrozzi, che aggiunge: “Provando a ricostruire i fatti: nel primo caso parliamo di una donna, invalida, categoria protetta, vittima di un caso di malasanità, reduce da due interventi delicatissimi e responsabile di aver superato di qualche settimana il periodo di comporto che il Contratto Nazionale prevede in materia di malattia. A nulla è valsa la disponibilità della lavoratrice che sarebbe rientrata in azienda non ancora guarita, l’azienda ha salutato la sua ormai ex dipendente con una fredda lettera di licenziamento; nel secondo caso invece, si tratta di una lavoratrice nigeriana, affetta da una grave patologia, operabile soltanto in America. Ciò che sembrava la cosa difficile di questa partita, cioè riuscire ad avvicinare il mondo complesso della sanità italiana a quello di un Paese straniero, è riuscito alla perfezione, la cosa impossibile è stata invece avere due mesi di aspettativa dalla Direzione Aziendale che, indirettamente ha costretto la lavoratrice alle dimissioni. Ancora una volta il mondo del lavoro dimostra di avere dei seri problemi con le donne madri, con coloro che soffrono di problemi invalidanti e con chi non detiene il passaporto italiano. Per l’ennesima volta il nostro Sistema Paese mostra tutta la sua ipocrisia, piangiamo gli stranieri che affogano e poi li prendiamo a calci quando arrivano vivi, elaboriamo i migliori studi per evidenziare l’emarginazione della donna e poi nulla facciamo per proteggerla, parliamo del diritto sacrosanto ad occupare persone portatrici di un handicap e poi le cancelliamo dal mondo del lavoro come fossero piccoli oggetti usa e getta. Nelle prossime ore chiederemo alla Honeywell, azienda committente della Faist, di togliere la commessa a quella che nei fatti è una bottega della discriminazione. La Fiom si batterà fino in fondo contro ogni caso di ingiustizia sociale, lo farà in termini sindacali, invitando gli organi preposti ad intervenire, lo farà ricorrendo presso la magistratura fino a giungere, se necessario, alla Corte di Giustizia Europea”.