È l’epilogo della vicenda che ha visto coinvolti Dominique Quattrocchi e Gabriele Pompinetti. Nei loro confronti gravava l’accusa di reato di bancarotta fraudolenta formulata in primo grado dal Pm di Chieti Giuseppe Falasca. La contestazione mossa, nello specifico, era distrazione del patrimonio immobiliare della Cearpes Soc. Coop. mediante la stipula di un contratto di affitto d’azienda in favore della Lilium Soc. Coop. Sociale Onlus, pattuendo come corrispettivo l’accollo da parte dell’affittuaria dei debiti verso i lavoratori e di altre spese. Secondo le accuse, Dominique Quattrocchi – componente del consiglio di amministrazione e liquidatore di Cearpes – e Gabriele Pompinetti – allora legale rappresentante della Lilium – avrebbero utilizzato un escamotage: stipulare un contratto di affitto di azienda dell’intero patrimonio immobiliare di Cearpes a favore di Lilium allo scopo di trasferire la disponibilità di tutti o dei principali beni aziendali ad altro soggetto giuridico. In tal modo la cooperativa Cearpes – dal 2007 posta in liquidazione coatta amministrativa – si sarebbe trovata nell’impossibilità di esercitare qualsiasi attività economica e si sarebbero ostacolati gli organi del fallimento nella liquidazione dell’attivo. Secondo le accuse la presunta manovra avrebbe danneggiato i creditori dell’azienda insolvente Cearpes e avrebbe reso difficile la ricollocazione sul mercato di beni non immediatamente disponibili, ed in questo si sarebbe ravvisato un reato. Il proscioglimento da ogni accusa è avvenuto tramite sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila datata 27 giugno scorso, collegio composto dai giudici Fabrizia Francabandera, presidente, Aldo Manfredi e Gabriella Tascone. La sentenza ha dimostrato come il contratto intercorso tra Cearpes e Lilium non fosse assolutamente dettato da finalità illecite, tutt’altro: la decisione di trasferire l’azienda a una nuova società, costituita ad hoc, era determinata «dalla necessità di non interrompere il servizio» (delicatissimo, che la cooperativa Cearpes «non era al momento più in grado di fornire per le condizioni economiche in cui versava») e «di evitare la dispersione del patrimonio professionale della stessa». Ostacolare, sulla base di quei presupposti rivelatisi infondati, le attività della Lilium, “anche in considerazione della carenza di strutture similari sul territorio nazionale”, in grado di ospitare e assistere minori psichiatrici gravi, avrebbe “pregiudicato i pazienti stessi”, per i quali «il servizio non può essere interrotto» da un giorno all’altro, e avrebbe arrecato un grave disagio alle famiglie e alle Asl di provenienza, costrette a cercare altre strutture ospitanti adeguate alle particolari esigenze dei pazienti. A fronte del debito contratto, la Lilium si era in realtà impegnata a corrispondere quanto dovuto ai lavoratori, ad «effettuare interventi di straordinaria manutenzione e di miglioramento delle strutture stesse» e «ad assumersi le spese necessarie per le regolarizzazioni urbanistiche e quelle per l’esercizio dell’attività», e ciò a sicuro incremento del valore del patrimonio aziendale che sarebbe altrimenti rimasto inutilizzato nelle disponibilità della società cedente Cearpes. Finalmente si è riconosciuta in tutto questo l’intenzione “di proteggere tale patrimonio aziendale e mantenere l’attività nella prospettiva di salvataggio della società Cearpes”. Proprio la non valorizzazione del patrimonio, se fosse stato lasciato inattivo sotto la semplice custodia dei commissari liquidatori, ne avrebbe sicuramente dissolto, entro breve tempo, ogni valore e anche ogni possibilità reddituale e occupazionale. In effetti, la parte di patrimonio immobiliare rimasta nelle disponibilità dei commissari Cearpes, precisamente i professionisti Francesco Arangio e Fabrizio Di Lazzaro di Roma e Dino Ricciuti di Pescara, ha perso ogni valore, tanto che, a seguito dei ribassi d’asta, oggi vanno in vendita a meno di un quinto del loro valore.