Nel dicembre scorso, il legale di Italo D’Elisa, l’avvocato Pompeo Del Re, puntualizzava infatti che il suo assistito non era “un pirata della strada” in quanto “subito dopo il sinistro, pur essendo anch’egli ferito e gravemente scosso, non ha omesso soccorso, ma ha immediatamente allertato le autorità competenti e chiesto l’intervento del personale medico-sanitario”.
Inoltre, affermava che gli esami “medici e ospedalieri avevano accertato “che il medesimo non guidava in stato di ebbrezza, né con coscienza alterata dall’uso di sostanze stupefacenti”, concludendo “come la dinamica del sinistro evidenzi una serie di
fatalità non imputabili all’indagato”.
Frasi che non sono piaciute alla famiglia di Roberta Smargiassi che hanno replicato, attraverso una nota del legale Giovanni Cerella. Questi evidenziava che “il capo di imputazione a carico dell’uomo è omicidio stradale aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale relative all’eccessiva velocità e al mancato rispetto del segnale con luci rosse dell’impianto semaforico”.
“Il consulente nominato dal sostituto procuratore – aggiungeva – ha ricostruito minuziosamente la dinamica del sinistro mortale ed ha concluso che ‘Le responsabilità dell’accaduto sono chiaramente ed unicamente riconducibili’ all’indagato”.
Probabilmente però, a tracciare un solco insuperabile tra le due famiglie, ha contribuito quel cordoglio che la famiglia Smargiassi attendeva per la morte della loro Roberta e che, come scriveva l’avvocato Cerella, “nessun componente della famiglia del 21enne, indagato compreso, ha espresso”, così come le dichiarazioni fatte dalla famiglia del giovane, ritenute dai congiunti di Roberta “offensive e dolorose”.
E’ su quella rete, che il procuratore della Repubblica di Vasto Giampiero Di Florio bacchetta come luogo “dove la gioventù si affida a commenti spregiudicati”, che si susseguono i commenti per l’uccisione di Italo D’Elisa.
“Non conosco cosa possa essere scattato dentro ad un uomo giovane che per disgrazia ha perso la moglie che da poco ha sposato e che certamente ama alla follia – scrivono su Facebook – in giro, il popolo attonito e sbigottito, esprime dolore e vi
sono coloro che giustificano il gesto, altri lo condannano”.
Oppure “si senta responsabile chi ha creato un clima di odio che nel caso di una mente debole per la perdita subita abbia
contribuito a maturare sentimenti di vendetta”.
Si parla di “claque di morbosi che ha portato avanti una incomprensibile campagna di Giustizia in assenza di un procedimento entrato nell’aula del Tribunale e quindi di una discussione indirizzata. Questa claque doveva aiutare Fabio a venirne fuori, invece gli hanno alimentato il sentimento della vendetta ogni giorno”.