Abruzzo, Regione (al) verde

abruzzoverdeAbruzzo, una Regione che vanta la presenza di oltre 150.000 aziende sul proprio territorio, la media di più di trentasettemila imprese per ciascuna provincia. Un vasto distretto industriale che ospita un significativo numero di compagnie impegnate in comparti distanti ma non per questo antagonisti, come l’energetico e quello agricolo.

Eppure, almeno negli ultimi tempi, sembra che in Abruzzo questa sorta di convivenza pacifica tra settori differenti si sia un po’ logorata. E così, come accade spesso in Italia, l’economia della nostra terra risulta spezzata da una guerra senza vincitori.
Ambiente o sviluppo? Industria o ecologia? Turismo o petrolio? Un tiro alla fune che sta lentamente consumando il tessuto imprenditoriale.
Un po’ com’è successo ai lavoratori della Bimo Irplast, un’azienda di Atessa che produce pellicole per imballaggi, adesivi e altri materiali plastici. Una grande realtà di 172 dipendenti che, purtroppo, da oggi sarà un po’ più piccola.

Di recente, infatti, è stata diffusa la notizia del licenziamento di 35 dipendenti della società a causa di “una grave crisi strutturale” dovuta all’aumento dei costi di produzione, un inasprimento della spesa causato dalle continue oscillazioni al rialzo dei prezzi del petrolio, di cui il polipropilene è un derivato.
La compagnia, infatti, realizza dei materiali che derivano direttamente dall’oro nero. Per via della continua altalena del greggio – di cui evidentemente non sono ostaggio solo gli automobilisti – la produzione dello stabilimento è calata di continuo, fino alla chiusura di una delle tre linee e al licenziamento di una buona parte di persone.

Tuttavia una ricetta per la riduzione dei costi energetici era già stata elaborata dal Ministero dello Sviluppo Economico e da quello dell’Ambiente nella SEN (Strategia Energetica Nazionale), documento che individua nello sfruttamento delle risorse energetiche interne e nella riduzione della dipendenza energetica dell’Italia dall’Estero le soluzioni per far diminuire la nostra “bolletta”.

Secondo quanto tracciato dai due dicasteri, infatti, il sottosuolo italiano nasconde delle ingenti quantità di gas e di petrolio, un piccolo tesoretto tricolore stimabile in 700 milioni di tonnellate di petrolio equivalenti (Mtep) di idrocarburi (cifra che, peraltro, considerati gli ultimi 10 anni in cui l’attività esplorativa si è ridotta al minimo, è probabile sia stata definita largamente per difetto).

In particolare, la Strategia Energetica Nazionale ha indicato 5 zone del nostro Paese caratterizzate da un elevato potenziale di sviluppo energetico; tra queste, udite udite, figura anche l’Abruzzo.

A supporto di questa previsione, uno studio realizzato recentemente da Confindustria Chieti ha rilevato che in Abruzzo, attualmente, sono in fase di valutazione 14 istanze per attività di ricerca, coltivazione e stoccaggio di petrolio e gas.
Se tutte queste richieste venissero accettate, si genererebbero 1,4 miliardi di euro di investimenti totalmente privati e quindi aggiuntivi rispetto alle risorse pubbliche per lo sviluppo. Quest’imponente mole di denaro, secondo l’analisi di Confindustria, genererebbe un’occupazione aggiuntiva di circa 8000 nuovi posti di lavoro nei 4 anni successivi all’investimento.

Ma in Abruzzo, anziché assumere, si licenzia. E anziché promuovere progetti industriali che possono creare nuovi posti di lavoro, si protesta contro tutto e tutti: no al petrolio, no alle multinazionali, no agli investimenti dall’estero. Sì alla disoccupazione.
Il difficile momento che stanno vivendo gli impiegati della Bimo Irplast non è l’unico paradosso industriale italiano: a causa del caro energia, infatti, le aziende che sono state costrette a chiudere sono oltre 134mila in appena sei anni.

Nonostante questi dati preoccupanti, sul territorio abruzzese, come nel resto del Paese, c’è chi protesta per la realizzazione di un qualsiasi pozzo petrolifero a causa di ipotetici pericoli per l’ambiente e per le persone, nonostante dal 1956 a oggi in Abruzzo siano stati realizzati 553 pozzi on-shore (a terra) e 184 pozzi off-shore (in mare) senza che questo abbia prodotto incidenti da cui siano derivati danni all’ambiente o alla salute dei cittadini.
La tutela dell’ecosistema è un processo fondamentale in una società civile, così come lo sfruttamento sostenibile di quelle risorse che potrebbero garantire il benessere economico. L’importante è che questi due aspetti non vengano mai messi in contrasto tra loro, altrimenti la difesa dell’ambiente si trasforma in un duro ostruzionismo al mondo del lavoro…e la Regione Verde rischia di diventare la Regione al Verde.

Diego Vitali (Gocce di verità)

 

 

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