Torna l’allarme trivelle nel mare italiano e tornano le proteste di chi crede che la vocazione dell’Italia sia il turismo e non la ricerca dell’oro nero, dopo il via libera del Ministero dell’Ambiente alle indagini sulla presenza di petrolio nei fondali del basso Adriatico, di fronte alle Isole Tremiti. Una scelta controversa che non trova consenso tra i cittadini che sabato 7 maggio dalle ore 10, manifesteranno la loro contrarietà al progetto nel Piazzale del Porto di Termoli, in Molise. Al loro fianco ci sarà anche Legambiente, da sempre convinta della non convenienza di una simile scelta energetica per il Paese.
Secondo le stime del Ministero dello sviluppo economico, infatti, la ricerca forsennata per individuare ed estrarre petrolio in Italia potrebbe portare al massimo circa 130 milioni di tonnellate (totale delle riserve ancora recuperabili) e anche estraendo tutto il petrolio recuperabile nel sottosuolo e sotto il mare italiano, la quantità ottenuta sarebbe sufficiente, ai consumi attuali, a garantire l’autonomia per soli 20 mesi. È evidente dunque che l’estrazione di petrolio non conviene sia per l’esigua quantità ottenibile dai giacimenti italiani ma ancor di più perché compromette irrimediabilmente il patrimonio paesaggistico e naturale delle nostre coste ponendo una grave ipoteca sullo sviluppo e la tutela di ampie aree del mare e del territorio italiano. “Le nuove trivellazioni in tutti i mari italiani sono incompatibili con lo sviluppo di attività sostenibili come il turismo di qualità e la pesca – ha dichiarato il responsabile scientifico di Legambiente Stefano Ciafani – e poi non servono all’Italia. Per questo Legambiente scenderà in piazza a fianco dei cittadini e degli Enti locali per chiedere al Governo di ripensare questa politica pericolosa che garantisce solo ricchi affari alle aziende petrolifere e nessun beneficio reale per la collettività italiana”.Da molti anni Legambiente è schierata a favore di uno scenario energetico che prevede l’uscita dal petrolio e dalle altre fonti fossili. Eppure sono molti i territori italiani interessati dalla ricerca e l’estrazione dell’oro nero, come la Basilicata, dove ancora oggi si estrae oltre il 60% del petrolio italiano o l’Abruzzo, dove si trova il primo pozzo italiano del 1863 e dove ancora oggi il petrolio si contrappone al rilancio ambientale, naturalistico ed economico dei territori. Tra questi anche la Sicilia, nella Val di Noto, dove l’alto pregio delle aree e il loro riconosciuto valore culturale e ambientale non ha impedito di avviare attività di ricerca e di estrazione petrolifera.
Ora la minaccia incombe sul mare italiano, noto in tutto il mondo per le sue bellezze, che rischia di trasformarsi in un parco di trivelle. Succede nell’Adriatico, nel tratto antistante la costa abruzzese e molisana, da Pineto a Termoli, ma anche nell’intero specchio delle acque comprese tra Teramo e le isole Tremiti, lungo la costa pugliese da Monopoli al Salento. Nel mar Ionio, dove sono partite le ricerche nel golfo di Taranto. Nel mar Tirreno, in Sardegna, nel golfo di Oristano e di Cagliari e nello splendido specchio di mare tra l’isola d’Elba e quella di Montecristo. Infine nel canale di Sicilia, a largo delle isole Egadi, dove quello che la Shell Italia definisce “un autentico tesoro”, mal si concilia con l’area marina protetta delle isole Egadi e con un’economia basata prevalentemente su turismo e pesca.
“In nome di una presunta indipendenza energetica – conclude Ciafani – assistiamo al rilancio di modelli tanto vecchi quanto pericolosi come il nucleare e il petrolio. Scelte che non risolvono i problemi energetici del nostro Paese, ma che al contempo minacciano oggi e in futuro i territori in cui vengono attuate”.