La WADA esce ufficialmente allo scoperto e svela le intenzioni che ha nei confronti di Sinner per il caso clostebol. Ed è polemica furiosa, c’è puzza di persecuzione.
Il dibattito attorno al caso di Jannik Sinner e all’uso di Clostebol ha riacquistato vigore, con la WADA (Agenzia Mondiale Antidoping) che ha espresso preoccupazioni sulla recente decisione di un tribunale italiano. Sinner era stato trovato positivo a questa sostanza nel marzo 2024, sebbene la concentrazione riscontrata fosse inferiore a 1 miliardesimo di grammo per litro. L’atleta ha sostenuto che la sua positività fosse il risultato di una contaminazione accidentale avvenuta attraverso il suo fisioterapista, il quale aveva utilizzato un farmaco contenente Clostebol per trattare una ferita, ed i massaggi successivi avrebbero portato a questa contaminazione.
Il 26 settembre scorso, la WADA ha presentato un appello contro la sentenza emessa dall’ITIA (International Tennis Integrity Agency), che aveva dichiarato Sinner non perseguibile per “colpa o negligenza”. L’agenzia ha sottolineato che tale conclusione non rispecchia le normative vigenti, chiedendo un periodo di sospensione per l’atleta compreso tra uno e due anni. È importante notare che la WADA non ha richiesto la revoca di risultati precedenti, a eccezione di quelli già stabiliti nella prima fase del processo.
James Fitzgerald, portavoce della WADA, ha evidenziato come il Codice Mondiale Antidoping sia in continua evoluzione e che le richieste di sanzioni più severe provengano direttamente dagli atleti stessi. Queste pressioni hanno portato a un aumento del periodo di sospensione per le sostanze non specificate, che è passato da due a quattro anni. La questione della gestione delle sostanze a bassa concentrazione è particolarmente complessa.
La WADA sta attualmente esaminando le normative riguardanti la contaminazione, con l’obiettivo di bilanciare la protezione degli atleti onesti e la lotta contro le frodi. La problematica del basso dosaggio è stata anche oggetto di dibattito per la sua potenziale utilizzazione come metodo di mascheramento per l’assunzione di sostanze vietate.
È stato riconosciuto che alcune sostanze possono servire a celare la presenza di altre nel corpo di un atleta, rendendo cruciale l’inclusione di tali agenti nell’elenco delle sostanze proibite.
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Fitzgerald ha ribadito l’importanza della responsabilità oggettiva nel contesto antidoping, evidenziando che è fondamentale tracciare una linea netta tra la responsabilità individuale dell’atleta e le dinamiche del suo team. Senza questo principio, il sistema antidoping potrebbe risultare inefficace, lasciando spazio a chi cerca di ingannare.
Se un atleta non fosse in grado di spiegare come una sostanza vietata sia entrata nel suo organismo, ciò potrebbe facilitare le manovre di chi utilizza pratiche disoneste per ottenere un vantaggio competitivo. La WADA è quindi in una fase di revisione delle sue politiche, con l’obiettivo di garantire che le norme siano adeguate alle esigenze attuali e che tutti gli atleti siano trattati con equità.
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Il caso Sinner rappresenta un momento cruciale per il settore, sollevando interrogativi su come gestire le contaminazioni accidentali e sul ruolo della responsabilità individuale nel contesto sportivo. Le decisioni future potrebbero avere un impatto duraturo non solo sul giovane tennista, ma sull’intero panorama sportivo professionistico.