History basket: Stefano Pizzirani racconta

Chieti. Chieti, inizio anni ’70. Presso il campo storico della Villa Comunale, un gruppetto di ragazzi sostiene una serie di allenamenti massacranti, agli ordini del “sergente di ferro” Todor Lazic.

 E in questo gruppo di ragazzi, c’è un giovane playmaker bolognese, destinato a diventare uno dei simboli del basket teatino: Stefano Pizzirani. Quarantasei anni dopo, comodamente seduto ad un tavolino del “Caffè Vittoria”, il “Piz”con la grande disponibilità e cordialità che lo hanno da sempre contraddistinto ci racconta gli anni d’oro della Pallacanestro Chieti, svelando alcuni interessanti aneddoti.

 Stefano, è inevitabile iniziare questa chiacchierata chiedendoti del tuo primo allenatore a Chieti: Todor Lazic. Che ricordi di lui?

 Sicuramente posso parlare solo bene di Todor. Quando venni qui da Bologna feci un provino a dir poco catastroficoe alcuni dirigenti non volevano assolutamente tesserarmi. Fu proprio Lazic, contro il volere dei dirigenti, a pretendere che io rimanessi qui. Era un coach che badava molto all’allenamento fisico, con allenamenti a dir poco massacranti sul campo all’aperto della Villa Comunale, che, anche sotto la pioggia o la neve., erano infiniti e che potevano durare anche sei ore. Aveva una metodologia d’allenamento rivoluzionaria per quei tempi e negli anni seguenti, ogni allenatore ha potuto sfruttare il grande lavoro atletico svolto da Lazic.

 Da Lazic al teatino Nino Marzoli che fu vice proprio di Lazic.

 Nino l’abbiamo visto crescere, perché era più giovane di noi. Passavamo sopra ogni sua decisione, ogni cosa che diceva per noi andava bene, anche perché lui continuò l’ottimo lavoro svolto da Lazic. La sua esperienza a Chieti, non sempre è stata fortunata e apprezzata, ma questo è dovuto al fatto che progressivamente ha avuto in mano una squadra di giocatori sempre più “anziani” e sempre più svogliati nel seguire i suoi dettami. Avrebbe avuto bisogno di una squadra giovane, con tanta voglia di corsa e sacrificio, cosa che giocatori a fine carriera non sempre allora digerivano.

 Dagli allenatori e ai loro metodi di allenamento, al basket giocato: se ti dico 9 maggio 1971, cosa ti torna in mente?

 Milano. Lo spareggio contro Rieti. Ne ho viste tante durante tutta la mia lunga carriera, ma quello che accadde al Palalido in quel pomeriggio fu una vera mattanza. Partirono moltissimi pullman sia da Chieti che da Rieti, le misure di sicurezza erano del tutto insufficienti e durante il riscaldamento si scatenò una guerriglia tra le opposte fazioni. Scortati dalla Polizia rientrammo negli spogliatoi, ho ancora davanti agli occhi i volti insanguinati dei tifosi. La partita si svolse lo stesso, grazie anche all’intervento della celere che formò un cordone sugli spalti al fine di evitare nuovi contatti. Vincemmo noi, non senza patemi d’animo: i laziali avevano buoni giocatori, tecnicamente erano più forti di noi ma noi atleticamente volavamo e avevamo un altro passo.Rieti calò nel secondo tempoe questo ci permise di batterli. Ciò che ricordo con grande affetto, fu il ritorno a Chieti: la mattina seguente alla partita fummo scortati dalla polizia urbana sfilando per il Corso contromano, con tanti tifosi, curiosi e studenti a festeggiare insieme a noi la promozione.

 Dal 1969 al 1981, qual è stato il tuo anno più bello?

 Ce ne sono tanti, ma su tutti lo spareggio contro Livorno, a Roma, per risalire in serie A la seconda volta: in quella partita feci 21 punti e di fronte avevamo una squadra attrezzata di ottimi giocatori, tra i quali svettava la presenza di Aurelio Lestini.Poi, ricordo con particolare affetto anche la nascita di mio figlio,venuto alla luceproprio di domenica mattina. Il pomeriggio, prima della partita, fui accolto con un caloroso applauso da parte del pubblico, i compagni mi consegnarono i fiori prima del riscaldamento, commuovendo addirittura un duro come Todor Lazic!

 In quegli anni, la Pallacanestro Chieti era composta da tanti teatini. Quali sono stati i compagni di squadra con cui eri particolarmente legato?

 I compagni più vicini a me erano Piero Dindelli e Filippo D’Ottavio, oltre a Giacomo Rossi con il quale siamo stati colleghi di lavoro fino a poco tempo fa. Filippo e Piero erano due pilastri importanti di quella squadra, eravamo anche compagni di stanza e ci siamo frequentati molto sia dentro che fuori dal parquet.

 Cosa dici invece a riguardo degli americani che giocavano con te? Chi ti ha impressionato maggiormente?

 Nella mia esperienza teatina ne ho visti passare diversi, ma chi mi colpì maggiormente fu Terry Sikes. Forte difensivamente e con una tecnica mai vista prima. Ricordo che alla vigilia della partita con Forlì che aveva tra le sue fila Griffin, che era stato prima scelta NBA, noi per ridere prendevamo in giro Terry. “Griffin ti schianta, meglio se ti nascondi …” e via di seguito. Terry era di poche parole e ci rassicurò con un semplice “No problem!”. Risultato? In quella partita Griffin fece solo due punti: Sikes lo aveva letteralmente annullato. Sikes fu molto sfortunato durante quella stagione: si infortunò alla caviglia contro il Banco di Roma durante l’overtime e per otto partite fu costretto a stare in infermeria. Anche Collins e Hollis ricordo con particolare affetto. Con loro condivisi l’esperienza a Mosca nel 1980 in un torneo che precedeva le Olimpiadi. I due americani temevano di uscire dall’albergo a causa della guerra fredda tra russi e americani, ma in realtà furono trattati molto bene come tutti d’altronde.

 Il basket teatino ha avuto molti teatri: dalla storica Villa Comunale, passando per Piana Vincolato, al “catino” di Colle Dell’Ara.

 Ne abbiamo passate tante, ma niente è paragonabileal Colle Dell’Ara! Un terreno pesantissimo, un freddo inimmaginabile…ma noi eravamo abituati agli allenamenti di Lazic! Aveva la particolarità che il pubblico ti stava col fiato addosso. Ti racconto un aneddoto: ci fu una partita contro Pescara, ovviamente molto sentita dai due fronti. Spesso, prima di questa partita, andavamo in ritiro, al vecchio Hotel Sole o a Villa Immacolata, per concentrarci al massimo. Giocammo al Colle, partita tiratissima, punto a punto. Nell’ultima manciata di secondi, noi eravamo sopra di un punto. Possesso palla: Pescara. Tra le mani di Lestini c’era il pallone che poteva gelare duemila spettatori teatini inferociti. Ebbene, il pubblico fece talmente tanto rumore che Pescara non terminò l’azione, non riuscendo a tirare e consegnando di fatto a noi la vittoria senza colpo ferire. A Colle Dell’Ara potevamo contare sul nostro sesto uomo: il pubblico.

 Secondo te, quale differenza c’è tra la pallacanestro che hai vissuto tu e quella di oggi? Anche accennando agli americani e all’apporto che danno alla squadra…

 Prima di tutto l’aspetto fisico: i giocatori odierni sono un altro passo rispetto a quello che eravamo noi. Sotto l’aspetto tecnico, invece, noi avevamo una marcia in più.Per quanto riguarda gli americani, all’epoca in squadra se ne potevano avere due, il resto era rigorosamente composto da italiani. Il più delle volte, erano gli elementi che potevano fare la differenza, perché erano ottimi giocatori. Oggi, purtroppo, il bacino di stranieri si è ulteriormente allargato, dando meno spazio a giocatori italiani e a iprodotti del vivaio…peccato!

 Un pensiero sul prossimo campionato di Serie A2 che dovrà affrontare la Pallacanestro Chieti

 Mi piace molto il lavoro che sta svolgendo tutta la società e coach Galli.Condivido l’idea di voler puntare su giocatori giovani, molto affamati, provenienti dalle serie inferiori, con tanta voglia di correre, crescere e fare bene. Ovviamente, sarà sempre il campo a decretare o meno il successo di questo , ma in questi ultimi due anni penso che si sia lavorato bene mai deludendo le aspettative.

 Stefano, per concludere, un doveroso saluti a tutti i tifosi di fede biancorossa!

 Spero che i teatini si avvicinino sempre più alla pallacanestro. Chieti è una città complessa, con diverse anime cestistiche, spero che progressivamente e sulla scia dei successi degliultimi anni si torni a poter contare su pubblico affiatato, caloroso e appassionato come lo era ai miei tempi. Quando il palazzetto è pieno, si sente e la pallacanestro si colora di un entusiasmo che non ha pari con nessun altro sport. Buon estate a tutti e arrivederci al PalaLeombroni.

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