Chieti. “Una maggioranza a pezzi, scompaginata, per nulla coesa che fugge di fronte a situazioni critiche dove bisogna assumersi delle chiare responsabilità ed ubbidiente al gran ciambellano il quale ordina e tutti, tacendo, eseguono senza battere ciglio”. Così i capigruppo di minoranza in consiglio provinciale di Chieti D’Amico (Pd), Menna (IdV), Mariotti (Sel) e Tinari (Rc) hanno descritto quanto accaduto nell’ultimo Consiglio provinciale in merito al mancato voto sull’ordine del giorno inerente la vicenda dei lavoratori dell’Associazione Regionale Allevatori (A.R.A.), da oltre dieci mesi senza stipendio e con gravissimo pericolo di sospensione di attività e assistenza tecnica alle aziende zootecniche associate.
“Il testo e i contenuti dell’ordine del giorno erano simili ad uno già approvato all’unanimità dal consiglio provinciale de L’Aquila” spiegano i capigruppo “ed era successivo ad un’apposita audizione avuta in commissione agricoltura di una delegazione dei dipendenti dell’A.R.A.; probabilmente parlare di questioni legate al comparto dell’agroalimentare in provincia di Chieti equivale ad una bestemmia e suona da insulto verso qualcuno per la quale la maggioranza di centrodestra a guida Udc ha paura di muovere non critiche, del tutto vietate, ma anche semplici suggerimenti, proposte o sollecitazioni com’era il caso del documento sull’A.R.A.”.
I capigruppo accusano la maggioranza di essere in balia di una palese contraddizione. “La maggioranza che chiede e poi fa mancare il numero legale di fronte alla presenza di una delegazione dei lavoratori dell’A.R.A. è stata una penosa rappresentazione di una maggioranza allo sbando, che vive alla giornata navigando a vista, sopravvive a se stessa solo perché cementata dal mantenimento del potere, cerca di nascondere le irreparabili divisioni interne con il costante ricorso al facile insulto personale ed alla mistificante provocazione, senza più idee per garantire neanche l’ordinaria amministrazione; in simili condizioni o si è nella possibilità di avere un colpo d’ala e d’orgoglio, per ridarsi dignità e credibilità senza infantili dipendenze esterne, altrimenti si ha il coraggio di rivolgersi al sovrano popolo elettore tornandosene a casa per palese incapacità a governare”.