“La problematica dell’alto numero di cinghiali presenti nel territorio – scrive D’Amico – non può più essere elusa da nessuno ma deve trovare una decisa e corale azione tesa al contenimento senza puntare all’eradicazione della specie. I danni prodotti da questi ungulati alle produzioni agricole sono elevatissimi ed i rimborsi concessi dalla regione, per il tramite delle province, sono parziali e tardivi; questi non soddisfano affatto gli agricoltori a fronte dei danni patiti e del mancato raccolto. Sottaccio, per sola carità di patria, i quotidiani avvistamenti a ridosso delle abitazioni private, delle “passeggiate, in ambiti pubblici e trafficati, i frequenti incidenti autostradali che producono negli attraversamenti. Tardare in un azione decisa ed incisiva è semplicemente colpevole e delittuoso. Una seria, programmata e partecipata pianificazione tesa a limitarne il numero potrebbe risultare utile anche attraverso campagne di contenimento in quelle aree dove più alta e certificata è la densità. Per troppo tempo s’è fatto finta di nulla sottacendo il problema coprendo così i soliti e prepotenti furbi che, dell’illegale caccia al cinghiale senza calendario ne confini, ne hanno fatto un vero e proprio ‘mestiere’. I locali pubblici servono il cinghiale cucinato in forme diverse e per l’intero anno solare. Ma questa carne da dove arriva? Quali garanzie ci sono sul piano sanitario? Il costo pagato dai ristoratori è tassato dal fisco? Con l’incerto futuro delle province come istituzione è la regione che deve prendere decisioni ed iniziative concrete per un problema sulla quale, mi consentirà, per troppo tempo non s’è agito. Per questo scopo, con la presente, Le chiedo d’inserire l’argomento nella prima e prossima utile riunione del tavolo verde regionale”.