Francavilla al Mare. “Non occorre demolire palazzo Sirena, ma fare sì che l’intervento di ristrutturazione del complesso culturale storico-architettonico, luogo centrale e memoria collettiva della città di Francavilla, divenga l’occasione per una Architettura di qualità, che coniughi i valori della tradizione con l’innovazione”.
Così in una nota il capogruppo dei Democratici per Francavilla, Stefano Di Renzo, che prosegue: “Ecco il Manifesto per Palazzo Sirena, aperto alla sottoscrizione di chiunque voglia salvarlo. Le 11 ragioni del no alla demolizione: l’edificio Sirena non può essere abbattuto per il suo oggettivo valore artistico ed architettonico. Esempio di architettura razionalista, è espressione di un movimento architettonico che ha lasciato il segno non solo a livello nazionale ma internazionale, ed ha rappresentato l’ultimo momento culturale per l’architettura italiana prima dell’avvento dei ‘palazzinari’, responsabili della distruzione delle nostre città e della cementificazione selvaggia di Francavilla. Una città è bella se è ‘leggibile’ cioè se è capace di produrre significati, generare ricordi divenendo racconto. Demolire una parte di questa storia vuol dire togliere identità alla città stessa. Un’architettura di qualità nasce dalla re-interpretazione, in chiave moderna, dei ‘segni della memoria’. Risultati di qualità si ottengono attraverso procedure limpide e consensuali, che ogni amministrazione ha la facoltà, e il dovere, di attivare per i propri edifici simbolo. In tutti i paesi europei si fa ricorso a concorsi di architettura per compiti di tale portata. L’incarico fiduciario, affidato al di là della indubbia professionalità, è stata un’occasione persa in tale senso. La necessità di rendere efficiente e sicuro un edificio può ben coesistere con la conservazione della memoria storica. Si può essere innovativi anche confrontandosi con il passato; l’Italia è piena di casi studio interessanti nel merito. La qualità dello spazio urbano non può prescindere dall’aspetto estetico, e una ‘città bella’ si ottiene soprattutto con il confronto e il coinvolgimento diretto della cittadinanza. Proprio verso la condivisione dovrebbero essere orientati gli sforzi dell’amministrazione per costruire una città misurata sui bisogni e sui desideri dei propri cittadini. Si vedano le esperienze dei comuni virtuosi d’Italia sui bilanci e sui forum partecipativi. I processi aperti sono auspicabili per dare modo ai cittadini di esprimere il proprio punto di vista, senza proclami precostituiti e propagandistici di demolizioni. Si valutino progetti alternativi senza demagogia. La bellezza non può essere imposta con giudizi semplicistici, tra l’altro palesemente non condivisibili. Distruggere il proprio patrimonio, per alcuni non artistico, certamente storico, cancella una parte di noi stessi, quella legata ai ricordi e alla storia di tutti noi che, in quell’edificio, ci siamo dati appuntamento, o conosciuti, o salutati. Palazzo Sirena è un punto di riferimento, uno dei pochi rimasti, ed ancora oggi ci aiuta a rendere riconoscibile e familiare la nostra città. Riguardo ai costi di gestione, si può conservare l’involucro e ridefinire gli spazi, facendo convivere l’estetica con la funzionalità energetica e gestionale. Andrebbe oltretutto spiegato come si possano dirottare per un’opera di demolizione, fondi statali destinati ad un adeguamento strutturale. L’architettura è una sfida continua tra tutela della memoria e innovazione. Il teatro è una struttura che vive di personaggi, di opere e di artisti. Sperare di far nascere un teatro dal nulla è solo utopia. Un luogo simbolo per la città deve avere un senso anche rispetto al proprio agglomerato metropolitano e va progettato con il coinvolgimento dei cittadini. Sarebbe auspicabile un referendum per dare modo a tutti di esprimersi. L’inversione del processo di ‘Francavillizzazione’ avviene con i fatti e non con le parole, e sfortunatamente gli atti finora prodotti vanno in altra direzione. La nuova città deve nascere attraverso strategie di sviluppo che mettano al centro il recupero e la riqualificazione di quanto costruito, sia urbano che extraurbano, sia in termini di aree che di singole costruzioni. Non sempre la scelta più vantaggiosa è quella giusta. I costi d’adeguamento di una struttura esistente sono, forse, più elevati, ma quando si valutano le alternative, in ottica costi-benefici, la conservazione della memoria storica ha un valore decisamente superiore. Scrive Jean Jacques Rousseau, quasi due secoli e mezzo fa ‘Il bene comune si mostra da per tutto con evidenza, e non richiede che buon senso per essere scorto’. L’atteggiamento distruttivo – conclude Di Renzo – è tipico di una cultura storica che nulla ha a che fare con la democrazia; distruggere significa rinuncia al confronto. E’ l’antidemocrazia”.