“Un inchiesta che si basa sul nulla, dove si sta favoleggiando su reati teorici, pensati, e pensati da altri, non dalla magistratura. Un soufflé che si sta lentamente sgonfiando analizzando gli atti acquisiti dal Gip”, esordisce così il Senatore Pastore, mettendo sul tavolo la responsabilità di un parlamentare di lungo corso di non sottrarsi di fronte a: “un tentativo di destabilizzare il governo nazionale e locale e ad un’inchiesta impostata per gettare fango addosso a militanti e amministratori del Pdl”. Un inchiesta che Pastore definisce basata sul pregiudizio della magistratura verso il Pdl: “Spendono tante parole per screditarci, ci ritengono una banda di malfattori”, dichiara, “questo è il partito dell’onestà, della correttezza e della trasparenza. Chi sbaglia è giusto che paghi, ma siccome in Italia i processi durano decine di anni, il dubbio che fanno insinuare taccerà qualcuno di corruzione per lungo tempo nell’opinione pubblica”.
Ma andiamo ai fatti. In ballo ci sono dei contributi versati al Pdl da Rodolfo Di Zio, inquisito patron della DeCo, per la passata campagna elettorale e che vengono additati come mazzette. Si difende Pastore: “Ammesso l’assurdo teorema giudiziario che assimila i contributi alle tangenti: perché gli atti di delibera del consiglio di amministrazione della Deco dai quali risultano i contributi versati al Pdl riportano ‘sbianchettate’ altre cifre? Per non dimostrare che gli stessi contributi sono stati versati anche ad altri partiti? Se le tangenti ci sono, allora ci sono per tutti. Ed ecco che la credibilità del teorema si sgonfia. E ancora, perché nell’indagine si utilizza un procedimento di presunzione di colpevolezza, dando per assunto che se dagli atti risulta che un imputato eccellente non ha ricevuto contributi vuol dire che li ha presi sottobanco? Si seguano dei rigori di logica, altrimenti si raggiunge un livello schizofrenico”. Altro capo d’accusa è il progetto di costruzione in Abruzzo di un termovalorizzatore, inserito nel programma del Pdl. Replica il Senatore: “Non è un crimine avere questo progetto in programma: è una scelta politica sulla quale la magistratura non può dire una parola. Tantomeno può essere ritenuto un crimine se un politico parla con un imprenditore di tali argomenti per cercare di pianificare al meglio i lavori, altrimenti come si può pretendere uno sviluppo per l’Abruzzo? Se, inoltre, si confondono gli andamenti delle vicende sui rifiuti di altre città con le nostre si rischia la paralisi amministrativa”.
Non manca il recapito di solidarietà a Tancredi e Di Stefano: “Gli atti riguardanti loro non sono ancora arrivati al vaglio del Senato, per cui noi vogliamo aspettare per renderli noti. Noi andiamo al di là delle veline che la magistratura passa ai giornali per sbattere il fenomeno in prima pagina. Se la magistratura e il Gip pretendono il dovuto rispetto, anche da parte nostra esigiamo rispetto. Hanno mandato avvisi di garanzia a persone che sono state semplicemente citate nel corso di intercettazioni fatte a terze persone, estranee. Non ci sono prove, e dai riscontri effettuati queste accuse sono cadute: la prova fondamentale è che hanno citato intercettazioni che parlano di cifre in euro, quando si parla di periodi in cui c’era ancora la lira. La loro credibilità, così, cade da sola”.
Infine, la vicenda più stretta a Pescara: il presunto favore fatto da Di Zio nel corso della compravendita della sede che il Pdl aveva in piazza della Rinascita. Il canone di affitto del Pdl scadeva nel 2008 ma pare, secondo l’accusa, che Di Zio, nuovo proprietario dell’immobile, avrebbe consentito al partito di centrodestra di andarsene con comodo nel 2010, in nome di quella che lo stesso Pastore definisce (ironicamente) “favori e pagamenti all’interno di una cricca”. Questa la sua versione: “Noi in sostanza abbiamo subito un danno da Di Zio, esercitato come legittimo diritto di un privato. Il contratto di locazione per quella sede è iniziato nel 2002 ed è scaduto nel 2008. Nel 2008 il nuovo proprietario, in accordo con il direttivo del Pdl a Roma, ha venduto l’immobile a Di Zio e noi siamo stati sfrattati con un differimento esecutivo che è arrivato nel 2009. A giugno del 2009 abbiamo richiesto una prima proroga alla nuova proprietà per trovare un luogo dove depositare i mobili, e Di Zio ha preteso dal Ministro Bondi, in quanto responsabile del procedimento, un impegno scritto per il pagamento del relativo affitto, fin quando nel 2010 siamo riusciti a svuotare i locali e tuttora siamo senza sede. Cifre di un affitto che sono state rese pubbliche. Sarebbe questo il prezzo della corruzione? Sarebbe questa la cricca, quando il primo partito del paese viene costretto a firmare un impegno scritto di pagamento?”.
La conclusione spetta, nuovamente, ad un riferimento a Tancredi e Di Stefano e al loro coinvolgimento nella vicenda in dettaglio: “Tancredi e Di Stefano all’epoca, in quanto dirigenti locali del Pdl, cercarono di mediare tra il privato e Roma, ma in totale normalità e trasparenza”, precisa concludendo Pastore.
La replica di Mascitelli. “Sulla questione morale il collega Pastore se la suona e se la canta da solo! Dal teorema della magistratura politicizzata ora, per continuare l’opera di delegittimazione del ruolo che la magistratura e la libera informazione hanno in ogni paese normale, si è passati alle inchieste che si sgonfiano da sole, per cui non vuole i processi sulla stampa e pensa di farseli da solo nel suo condominio”. Lo ha dichiarato il segretario regionale dell’IDV Alfonso Mascitelli. “Di certo il collega Pastore ha la memoria corta visto che non ricorda le espressioni forti, i giudizi trancianti e le prese di posizione da lui espresse sul caso D’Alfonso”, continua, “e le analoghe posizioni da processi di piazza che i suoi colleghi alla Regione hanno avuto sul caso Del Turco, con il quale hanno vinto le elezioni ingannando gli abruzzesi”. Lo stesso Pastore, però, nel corso della conferenza di questa mattina aveva dichiarato di non aver mai festeggiato quando le indagini toccarono l’ex sindaco di Pescara, ma di aver preso forti posizioni solo in merito alla presentazione del famoso certificato medico da parte di Luciano D’Alfonso, lasciando così il Comune in mano a Camillo D’Angelo.
Daniele Galli