Sposate in Spagna: il tribunale di Pescara riconosce ai figli il cognome delle due mamme

Pescara. Una mamma, cittadina italiana e venezuelana, risiede con la moglie, anch’essa venezuelana, in Spagna. Nascono due gemelli nel 2016. Si attivano subito per chiedere tramite consolato la trascrizione degli atti di nascita, che riportano il doppio cognome e entrambe le madri.

 

Per sei mesi ci sono passaggi tra uffici vari e solo a giugno 2017 un comune delle Marche informa la famiglia che non può procedere alla trascrizione, perché riconoscere due madri sarebbe contro l’ordine pubblico. Intanto, i bambini non possono lasciare la Spagna, perché privi di ogni documento valido per l’espatrio.

Le due donne si rivolgono a uno studio legale e con una telefonata agli uffici si sblocca in pochi giorni la situazione e il Comune provvede in autotutela a trascrivere. Tuttavia, la trascrizione è parziale e ciò avviene solo per la madre partoriente e i gemelli mutano di cognome: non quello doppio del Paese in cui vivono, ma solo quello della madre partoriente. Il disagio di avere due identità è chiaro.

Nella vicenda delle ‘due mamme’ interviene un ricorso al Tribunale. Il decreto del 31 gennaio, depositato il 7 febbraio e diventato definitivo nei giorni scorsi, dà loro ragione. La procedura è stata rapida. “”Ciò che colpisce è come oramai per i giudici si tratti di un esito ovvio, manifestamente fondata – spiega l’avvocato Schuster, che ha seguito la storia – Infatti, non è stata necessaria alcuna udienza, il parere del pubblico ministero era favorevole. Così, il collegio di tre giudici del Tribunale di Pescara, presieduto dal Giudice Di Fulvio, in poco più di una pagina (probabilmente la decisione più corta mai vista in queste materie) dà ragione a madri e figli e impone al Comune la trascrizione integrale: dal doppio cognome alla seconda madre”

Per l’avvocato Schuster, “è incredibile che dopo due decisioni della Cassazione in casi analoghi e una giurisprudenza di merito del tutto compatta si debba ancora oggi assistere a Comuni che si rifiutano di riconoscere queste famiglie: questa è pura e semplice discriminazione istituzionale”. “Inizialmente i giudici”, conclude il legale, “scrivevano decine di pagine per motivare, oramai il consenso fra gli interpreti del diritto è talmente consolidato che le decisioni di risolvono condivisibilmente in poche righe”.

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