Pescara, ammazzata di botte: arrestato il compagno

Pescara. Risolto il caso della donna trovata senza vita la sera del 30 maggio scorso in una villetta nella zona collinare di San Donato.

A causare il decesso della 52enne di origine romena Monica Gondos, sono stati i maltrattamenti subiti dal convivente che ieri è stato arrestato dai carabinieri della Compagnia di Pescara con le accuse di maltrattamenti in famiglia aggravati dalla morte.

In manette è finito Gelu Cherciu, anche lui romeno, 67enne, e destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari Nicola Colantonio, su richiesta del Pm Anna Benigni.

Dalle indagini è infatti emerso che la donna, separata e madre di due figlie, nel periodo della relazione con l’uomo, durata circa sei anni, aveva subito vessazioni e maltrattamenti in più occasioni, testimoniate anche da ecchimosi con cui spesso la donna era stata vista da amici.

Maltrattamenti in famiglia che però non erano mai stati denunciati dalla donna alle forze di polizia. Ad incastrare il 67enne anche una intercettazione telefonica in cui l’uomo si vantava di averla fatta franca. Successivamente l’autopsia, effettuata al medico legale Cristian D’Ovidio, ha permesso di appurare che il quadro clinico presente sul cadavere fosse conseguenza di azioni lesive esterne, che nel caso specifico hanno cagionato alla di donna un arresto cardiocircolatorio a causa di costole rotte che avevano bucato il polmone della vittima per violenti colpi violenti ricevuti.

Fu, lo scorso 30 maggio, proprio Cherciu, ad allertare le forze dell’ordine intorno alle 18, alcune ore dopo la morte della donna, che secondo l’autopsia risalirebbe fra le 11 e le 14 con dello stesso giorno. Erano le 18.30 circa, quando l’uomo ha contattato il 112 riferendo confusamente della morte della sua compagna. All’arrivo dei militari la donna era riversa supina, priva di vita, di fronte al portone di casa e già da un primo esame presentava vistose ecchimosi su diverse parti del corpo; l’uomo, invece, si presentava confuso e sotto l’effetto di alcool, non riuscendo a riferire nell’immediatezza quanto accaduto. Trasportato al Pronto Soccorso, dopo aver effettuato le previste analisi atte ad confermare il suo stato di ebrezza, ha iniziato a rendere le prime dichiarazioni sugli eventi del pomeriggio, fornendo, fin da subito, diverse versioni dei fatti, confuse e contraddittorie.

Nel corso dei giorni seguenti, i Carabinieri hanno ascoltato i familiari della donna, nonché numerosi conoscenti della coppia al fine di ricostruire non solo le ultime ore di vita della vittima, ma anche il quadro completo dell’intera situazione familiare. Ciò che è emerso fin dalle prime risultanze investigative è il comportamento violento dell’uomo che era solito maltrattare la sua convivente, non solo infliggendole punizioni corporali, ma anche umiliazioni verbali.

I familiari, in particolare, hanno riferito di aver visto in più circostanze la donna con evidenti lividi ed ecchimosi su diverse parti del corpo e, solo dopo pressanti richieste di spiegazioni, la vittima aveva confessato, a mezza bocca, di essere stata picchiata dal convivente. A corroborare l’intero quadro investigativo è stata utile anche l’intercettazione telefonica: nel corso delle telefonate con i suoi amici e conoscenti, che gli chiedevano cosa fosse accaduto alla sua compagna, l’uomo ripeteva, sempre in maniera confusa e contraddittoria, la stessa versione dei fatti, raccontata agli inquirenti, modificando piccoli particolari. Tale circostanza ha permesso di fornire la conferma che il racconto non fosse genuino. Una telefonata in particolare, poi, ha destato l’attenzione dei militari: uscendo dalla caserma dopo la notifica di un atto, l’uomo ha chiamato un suo amico e, usando un tono beffardo e sprezzante, dopo avergli raccontato dell’incontro avuto con i Carabinieri, ha proferito la frase “Non mi hanno chiuso, stupidi del cavolo!”, riferendosi evidentemente al fatto che non era stato tratto in arresto perché non erano riusciti a smascherarlo. La conferma della tesi investigativa si è avuta, infine, con la relazione a seguito dell’autopsia, che ha evidenziato come la morte fosse stata causata da “un’insufficienza cardio-respiratoria da emotorace massivo sinistro e sbandieramento medianistico a destra”; in altri termini, il quadro emorragico che ha causato il decesso era stato indotto per effetto traumatico perforativo sul polmone sinistro, escludendo la causa accidentale dell’evento.

L’esame autoptico ha individuato l’orario della morte tra le 11.00 e le 14.00 del 30 maggio e lo specifico esame svolto sulle ecchimosi e sui lividi sul corpo della donna hanno permesso di appurare che il quadro polilesivo non può essere riconducibile a traumatismi da un’unica caduta accidentale, come, invece, era stato riferito dall’uomo che sosteneva di averla trovata già morta in seguito ad una ipotetica caduta.

Impostazioni privacy