Pescara, le verità dell’Arta: “Il dragaggio può riprendere”

artaamiconedicrocedelvecchioPescara. E’ una delle protagoniste principali del dragaggio, un caso diventato ormai una telenovela, ma dal risvolto tragico dato che a farne le spese sono quotidianamente i pescatori e gli operatori commerciali; l’Arta prende oggi ufficialmente la parola e fornisce la sua versione dei fatti: “Quello che l’Arta ha fatto e quello che le istituzioni devono fare”.

Ora parla l’Arta. L’Agenzia regionale per la tutela dell’ambiente ha tenuto questa mattina una conferenza stampa, stufa delle “inesattezze e delle varie versioni diffuse da persone parzialmente informate o mosse da motivi politici: ognuno a fare il proprio gioco”. A parlare è il direttore generale Mario Amicone, affiancato dal direttore dell’area Tecnica, Luciana Di Croce, dal direttore del distretto provinciale di Pescara, Angela Del Vecchio, e da Emanuela Scamosci, uno dei chimici del distretto. Un incontro usato per ribadire qual è il ruolo dell’Arta, per respingere ai mittenti le accuse ricevute a mezzo stampa e anche per lasciare intendere quali sono i responsabili dell’attuale stasi del dragaggio del porto canale. “Il rimpiattino di responsabilità tra noi è il Provveditorato alle opere marittime”: da questa colpa si libera immediatamente il direttore Amicone: “Chi parla a sproposito ha fatto molta confusione sulla corrispondenza inviata”, afferma riferendosi alle comunicazioni circolate fra Arta, Comune e Provveditoriato. Totalmente alla luce del sole, invece, sarebbero le attività svolte dall’Agenzia: “Controlli, prelievi, monitoraggi, analisi e tutte le attività di supporto scientifico che l’Arta compie per le istituzioni sono parametrate della legge nazionali ed europee e non discrezionali, i risultati delle quali sono sempre riportati nei verbali e nei rapporti che emettiamo”, precisa Amicone.

Attività svolte, in merito al dragaggio, fin dal dicembre 2009 l’Arta è stata chiamata dal Provveditorato ad eseguire una prima caratterizzazione del fondale, ovvero delle analisi sui carotaggi effettuati all’interno del porto, sulla base della quale è il Comitato di Via (valutazione impatto ambientale), quindi la Regione, ha autorizzato il dragaggio di un primo lotto di 9mila metri cubi di fanghi, optando per il trattamento dei fanghi come materiale da rifiuto (il rinascimento e lo sversamento in mare sono le altre opzioni individuabili per il dragato).  “Per le successive autorizzazioni”, spiega ancora Amicone, “si è deciso di procedere qualora le successive analisi non avrebbero riscontrato peggioramenti rispetto ai livelli del 2009”. Così è stato per il primo lotto, dragato in due tranche da marzo scorso, prima 2mila e poi 7mila metri cubi. Lo stesso criterio è stato adoperato per il secondo lotto che prevede il dragaggio di altri 10mila metri cubi: mai partito, motivo dell’indignazione generale e dell’attuale paralisi del porto.

Nel frattempo cosa è successo? L’Arta ha continuato ad eseguire nuovi rilevamenti del fondale e il monitoraggio dei fanghi che venivano man mano estratti dalla ditta Nicolaj: dei rilevamenti batimetrici, il 20 maggio, su richiesta dalla Capitaneria di Porto, e delle nuove analisi sui carotaggi effettuati nel porto il 13 e il 18 maggio, interrotti dalle mareggiate, su richiesta del Provveditorato, per le quali verranno resi noti i risultati a fine mese. Ma a questo punto il ruolo dell’Arta si intreccia con quello degli altri protagonisti: in primis la ditta esecutrice del dragaggio. Finito il primo lotto, a metà aprile venne sequestrato dalla Procura il sito di Moscufo in cui venivano portati i fanghi dragati e trattati, lasciando la ditta Nicolaj senza luogo dove gettare i limi. Questo, secondo l’Arta, il motivo principale dello stop. Amicone e la Di Croce lasciano intendere che la Nicolaj, in difficoltà per non poter rispettare i tempi previsti dall’appalto, avrebbe cercato di tergiversare con ogni mezzo, a partire dal ritardo della consegna del cronoprogramma dei lavori: “Consegnato solo il 19 maggio nel corso di una riunione alla Capitaneria di Porto”, illustra Luciana Di Croce, “il giorno dopo l’Arta ha effettuato un monitoraggio sui fanghi dragati e prossimi al trattamento, su richiesta del Comitato Via e della Determina regionale di autorizzazione”. A queste analisi si contrappongono quelle fatte eseguire dalla Nicolaj e dal Provveditorato ad un laboratorio privato con le macchine della Geotecnica Ricci. “La Nicolaj, con le analisi della Ricci che presentavano valori di idrocarburi troppo alti, sosteneva che era impossibile procedere al dragaggio”, procede la Di Croce, “mentre le nostre, le uniche che fanno fede, non sono peggiorative rispetto al 2009, quindi si può procedere a dragare i secondi 10mila metri cubi”. Lo scontro tra i dati riporterebbero una differenza notevole, fra i 53 mg/Kg dell’Arta e i picchi di 200 mg/Kg della Ricci: “Ma dovendo essere trattati come rifiuto, non c’è nessun pericolo che impedisca di procedere nei lavori”, chiarisce la direttrice dell’area tecnica.

Dunque, l’Arta non avrebbe posto alcun vincolo all’avvio del secondo lotto del dragaggio. Quello che traspare dalle parole di Amicone è che le analisi presentate dalla Nicolaj siano solo un escamotage, essendo venuto a mancare il sito di deposito dei fanghi, per evitare di incombere nelle penali conseguenti alla non conclusione del dragaggio entro i tempi previsti: “Spetta ad altri stabilire se quelle analisi sono un falso”, commenta il direttore generale Arta. Lo stesso Amicone individua la soluzione più facile per lo sblocco dei lavori: “Individuare un sito alternativo a quello di Moscufo”; a quanto pare si starebbero varando come opzioni il locale cementificio o siti in altre regioni. Amicone chiosa anche sulle scelte possibili da adottare a monte: usare la sabbia dragata per il rinascimento, depositarla nella vasca di colmata, o sversarla direttamente nelle acque al largo. Anche in questo caso c’è molta confusione, tra le linee guida Ispra che stabiliscono particolari affinità organiche e chimiche tra la sabbia estratta e quella delle spiagge sulla quale verrebbe portata, chi dice che le leggi da due anni non permettono più di gettare la sabbia in mare aperto, e chi ancora non sa dove individuare il sito per questa pratica. Amicone chiarisce, precisando che fu la Regione a scegliere per il trattamento come rifiuto: “Si può sversare in mare e i siti ci sono, ad esempio nelle Marche, peraltro appartengono al Demanio, non alle Regioni, quindi chiunque può utilizzarli”.portocostagliolademilio

La conclusione più concreta la forniscono il pilota del porto di Pescara, Leonardo Costagliola, e Alessandro D’Emilio, uno degli operatori dei traffici portuali che lavora per l’agenzia Archibugi-Ranalli (quella che manovra le petroliere Tigullio e Niker), entrambi presenti ad assistere all’esposizione dell’Arta: “I primi 9mila metri cubi asportati si sono già risedimentati naturalmente, e anche togliere altri 10mila metri cubi non servirà a nulla: occorre dragare almeno 150mila metri cubi”. Anche loro tornano a riproporre la soluzione suggerita dalla gente del porto: appellarsi al decreto ministeriale del 1996 che autorizzerebbe a portare al largo i limi scavati dal canale, qualora si procedesse alla chiusura straordinaria del porto propedeutica a tale operazione; soluzione anelata, studiata e approfondita al punto da aver già individuato, in una “fossa” a 6 miglia dalla costa, il punto in cui depositare il dragato. “Eppure la Regione non sembra voler prendere in esame questa ipotesi”, conclude Costagliola.

 

Daniele Galli


Impostazioni privacy