Consiglio Comunale di Vasto sulla sanità, Paolucci: ‘No a squilibri territoriali’

Vasto. “Alla fine del suo mandato, Chiodi e la destra avranno avuto cinque anni e mezzo per cambiare la sanità: la sua politica dei tagli ragioneristici ha prodotto disservizi, disagi, viaggi della speranza ai quali ha costretto i cittadini di Vasto e del resto d’Abruzzo”.

Lo afferma Silvio Paolucci, segretario regionale del Pd abruzzese, a margine dei lavori del Consiglio Comunale di Vasto dedicato ai temi della sanità.
“La sanità vastese, come é emerso dall’approfondita e convincente relazione del sindaco Lapenna e dal contributo del Consiglio Comunale, sta soffrendo ritardi che né i cittadini né gli operatori meritano – sottolinea Paolucci – e sono causati da una gestione fallimentare tutta targata centrodestra. Hanno lasciato la sanità con un Piano scaduto che poi è stato scritto in gran segreto, hanno lasciato l’Abruzzo senza un piano dell’emergenza urgenza, senza un piano di investimenti nella sanità territoriale, persino senza dar seguito alle roboanti promesse di nuovi ospedali e con squilibri immensi fra le aeree territoriali di questa regione con ulteriore insopportabile sofferenza per molte aree interne. Chiodi ha avuto poteri commissariali e tempi che nessun altro presidente nella storia delle Regioni ha mai avuto. Ora é tempo di cambiare – conclude il segretario Pd – e per farlo é bene cominciare dall’ascolto. Per approfondire problemi, bisogni ed esigenze: da qui parte il percorso del Pd”.

Così il sindaco di Vasto, Luciano Lapenna, durante il suo intervento in Consiglio Comunale: “Impossibile comprendere quanto sta avvenendo nel nostro territorio senza allargare l’analisi a  contesti più ampi, certamente  regionale ma anche nazionale, che  rendono conto di una lunga serie di fallimenti destinati a segnare definitivamente la qualità della nostra offerta sanitaria. Grande imputato, in tempi di rigorismo forsennato, sembrerebbe essere lo stato sociale , colpevole di aver ingenerato  l’indebitamento record del nostro paese, attraverso l’erogazione  di prestazioni ormai non più sostenibili.  Ma da molto tempo non è più così. Sono i numeri che parlano  e che  aiutano a sfatare i miti, le bugie,  le percezioni distorte alimentate da svariati interessi: ed  i  numeri sono quelli dell’Università Bocconi che attraverso il centro ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale   ci racconta come il nostro welfare rispetto a quello di altri paesi europei sia molto più  leggero: nel confronto con Gran Bretagna, Francia e Germania  l’Italia è l’unico paese che destina meno della metà delle proprie risorse  a l welfare. Lo studio descrive inoltre come non sia solo la quantità  della spesa a minarne l’efficacia ma anche la gestione delle risorse. Gli ultimi anni i governi di centro-destra , operando attraverso  tagli  per lo più lineari, hanno di fatto smantellato un sistema socio-sanitario che per anni ci ha visto in posizioni di punta sullo scenario internazionale: le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Una ulteriore ricerca svedese mette a confronto ben 18 paesi europei con le loro 172 regioni: l’Italia è solo decima per la qualità della nostra sanità pubblica, undicesima  per i ‘particolari vantaggi’ del Ssn,  tredicesima per l’equità nell’offerta dei servizi. Sotto  metà classifica quindi e con il triste primato di vedere nel ranking tra le 172 regioni europee la  Calabria ultima (172° posto) per i «particolari vantaggi» della sua offerta, terzultima (170ma) sia per qualità che per equità, insieme , negli ultimi 15 posti della graduatoria, a Molise,  Campania,  Sicilia, Puglia. D’altronde in questi anni l’obiettivo di molti governi regionali non è stato quello di garantire ai propri cittadini il diritto alla salute ma contenere la spesa costi quel che costi. Ecco quindi molti governatori, Chiodi tra gli altri, esibire  risultati rimarchevoli in particolare nelle regioni che hanno dovuto adottare un piano di  rientro per i propri conti in rosso. Il disavanzo della Campania, per esempio, nel 2012 si è ridotto a un decimo di quello del 2005, quello del Lazio a un quinto e quello ?della Sicilia si è sostanzialmente azzerato. In nome del contenimento della spesa pubblica  si stanno di fatto privando  i cittadini delle  cure di cui hanno bisogno. Caso mai ci si accusasse di ragionare in termini eccessivamente propagandistici, sulla scorta di mere percezioni, ci viene in aiuto una fonte certamente non di parte,  ancora il Cergas dell’Università Bocconi  che nel rapporto Oasi 2013 (Osservatorio sulle aziende e sul sistema sanitario italiano) evidenzia una marcata preoccupazione sulla tenuta del Ssn. A rischio sarebbe infatti  l’universalità della sanità italiana. Il  contenimento della spesa per ogni singolo fattore produttivo (tagli lineari su posti letto, assunzioni e stipendi del personale, spesa per i farmaci e servizi offerti),  la contrazione degli investimenti in rinnovo e sviluppo tecnologico, il mancato ammodernamento  delle infrastrutture ,  portano  la sanità pubblica ad aggiustare  la prospettiva  di breve periodo, senza una strategia di più ampio respiro. Un fenomeno che secondo il rapporto rappresenta ‘un’ipoteca sul futuro e un implicito debito sommerso che emergerà in maniera progressiva nel momento in cui risulterà sempre più visibile l’obsolescenza delle strutture e delle tecnologie del sistema sanitario nazionale’. Già oggi diversi cittadini si trovano a fare i conti con grandi difficoltà, visto che  ‘il raggiungimento degli equilibri di bilancio non è andato di pari passo con la capacità di rispondere ai bisogni e di erogare servizi in maniera produttiva ed appropriata’. Ancora una volta le regioni più in difficoltà sono quelle meridionali, da sempre penalizzate da  forti inefficienze nel servizio pubblico:  in particolare le regioni sottoposte al piano di rientro (Abruzzo, Molise, Lazio,  Puglia, Campania, Calabria e Sicilia)  ‘risultano inadempienti o parzialmente inadempienti”’ nel mantenimento dei livelli essenziali di assistenza. Alla riduzione della spesa pubblica per la sanità, inoltre, non è corrisposto un aumento della spesa privata: nel 2012 gli italiani hanno speso per la propria salute il 2,8 per cento in meno rispetto all’anno precedente con una media italiana di 463 euro pro capite, con grande disomogeneità territoriale dai  707 euro del Trentino Alto Adige ai 239 euro ?della Campania. Queste criticità si erano già rese palesi nei due  precedenti Rapporti del 2011 e del 2012, dove a proposito dell’aziendalizzazione della sanità in Italia, già si parlava di ‘sanità povera’ nelle regioni in Piano di rientro a differenza di quella nelle regioni più ricche. Il Rapporto evidenzia  inoltre come la riduzione di spesa sia stata applicata a un sistema sanitario  con una spesa pubblica pro capite  significativamente più bassa di quella di Francia,  Germania o Regno Unito, come prima evidenziato. Da ciò, secondo il rapporto, deriva ‘il sospetto che, soprattutto nelle regioni sottoposte a misure più drastiche di contenimento della spesa, inizino a manifestarsi situazioni di undertreatment’ ovvero l’impossibilità di far fronte alle necessità sanitarie della popolazione”.

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