Lanciano, rapina in villa: ora si cerca il quarto uomo. Il capobanda italiano

Lanciano. Un anno fa ai carabinieri, Massimiliano Delle Vigne disse chiaramente che tra i rapinatori gli era sembrato di riconoscere la voce di un romeno che era venuto spesso a fare acquisti nel suo negozio di ferramenta sulla strada per Fossacesia.

 

 

Tra i malviventi incappucciati che picchiarono selvaggiamente lui e la moglie aveva anche indicato la presenza di un italiano dall’accento pugliese. Ma la conferma che forse nella banda c’era veramente un italiano, e che forse era il capo in modo inconfutabile, l’ha data Domenico Iezzi, il 73enne commerciante a cui i banditi a marzo scorso hanno tagliato un dito con un coltello: l’uomo che lo aveva massacrato gli aveva confessato di essere della provincia di Foggia.

 

 

Molti indizi fanno quasi una prova: anche i coniugi Jubatti di Guardiagrele avevano detto di essere stati massacrati da gente dell’est anche se non erano in grado di confermare la presenza di un italiano tra i banditi. Quindi che la banda che ha terrorizzato per un anno il lancianese con sei rapine feroci tra S.Vito e Atessa, Lanciano e appunto Guardiagrele fosse composta tra stranieri e da un italiano era già nei fascicoli delle singole indagini.

Per questo ora gli inquirenti sono alla caccia di ‘questo italiano’, la cui presenza messa la centro delle indagini con gli altri stranieri già da tempo evidentemente nel mirino delle forze dell’ordine, ha rappresentato dopo mesi il punto di svolta decisivo.

 

 

In questura spiegano che l’italiano cercato non necessariamente è di un’area geografica extra Abruzzo e non si esclude che la persona possa essere anche residente nella zona di Lanciano o nella provincia di Chieti. Secondo quanto si apprende, già in precedenti rapine alcuni malviventi avevano fatto credere alle vittime di provenire dalla Puglia.

Nelle indagini sulla rapina in villa ai coniugi Martelli sarebbe coinvolta anche una donna romena vicina ai banditi identificati. Il suo coinvolgimento nella sanguinaria irruzione in casa dei coniugi Martelli non sarebbe diretto ovvero non avrebbe partecipato all’assalto; secondo le forze dell’ordine potrebbe aver fornito elementi utili ai connazionali in quanto collaboratrice familiare dei Martelli.

 

Visita in ospedale del prefetto ai coniugi picchiati. Questa mattina il Prefetto di Chieti, Antonio Corona, ha fatto visita a Carlo Martelli e Niva Bazzan, ancora ricoverati in ospedale a Lanciano dopo la brutale aggressione a scopo di rapina subita nella loro villa all’alba di domenica scorsa. Era accompagnato dal direttore generale della Asl Lanciano Vasto Chieti, Pasquale Flacco, dal direttore della Chirurgia, Lorenzo Mazzola, dal sindaco di Lanciano, Mario Pupillo, e dal presidente del Consiglio comunale, Leo Marongiu.

L’incontro, già concordato nella giornata di ieri, è avvenuto proprio nel momento in cui in città si era sparsa la notizia dell’arresto di alcuni componenti della banda, accolta da Martelli con sollievo: «Mi sento davvero confortato da questa svolta nelle indagini, giunta così rapidamente – ha detto il chirurgo in pensione -. Sarò più sereno anche nel rientrare a casa, dove non vedo l’ora di tornare recuperando la mia vita normale e la dimensione di riservatezza che da sempre la caratterizza. Ho reso testimonianza anche attraverso i media di quanto ho vissuto perché lo ritenevo un dovere di cittadino, ma ora è tempo che i riflettori non siano più accesi su di me».

 

Il Prefetto ha avuto parole di accorata solidarietà per l’accaduto, sottolineando la gravità delle azioni commesse dai malviventi: “La vicenda che vi ha visto coinvolti è stata un duro colpo per tutti noi – ha commentato Corona – impressionati anche dal livello spropositato di violenza che è stata usata su di voi. L’invito per il futuro è a ritrovare al più presto la serenità e ad attivare sistemi di sicurezza passivi che aiutano a proteggere le case”.

 

Il Prefetto ha poi fatto visita a Niva Bazzan, esprimendole la sua partecipazione umana, ancora prima che istituzionale, alla vicenda. La donna ha riferito che qualcuno le ha chiesto se fosse disposta a perdonare: “Io li perdono – ha confidato – perché questo mi aiuterà a recuperare serenità, ma lo Stato non li deve perdonare”.

 

 

 

 

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