L’utilizzo intensivo di internet e dei social network ha conseguenze sulla capacità critica e sull’attenzione di adulti e soprattutto giovanissimi: quali sono le contromisure a questo fenomeno preoccupante.
La demonizzazione della novità è un fenomeno tipico dello scontro generazionale, si è verificato negli anni ’70 verso la musica, nel decennio successivo per i giochi da tavolo e sul finire del XX secolo contro i videogame. L’attuale campo di scontro tra generazione sono i social network e il loro utilizzo.
Non è sano e nemmeno costruttivo demonizzare qualcosa che può avere effetti nocivi. Come sempre l’approccio corretto è quello di una analisi razionale dei rischi e delle potenzialità. I social e internet non sono il problema, ma problematico può diventarne l’utilizzo e soprattutto l’abuso.
Alcuni studi recenti hanno infatti evidenziato come un utilizzo eccessivo dei social abbia portato ad un fenomeno chiamato “Brain Rot” (marcescenza cerebrale in italiano), ovvero ad un repentino calo delle facoltà mentali di chi abusa di queste piattaforme. Il rischio è concreto ed il problema può divenire serio nei casi più gravi e soprattutto nei soggetti in fase di crescita. Ma in cosa consiste questo “Brain Rot” e come è possibile evitare che le nuove generazioni ne diventino i primi esponenti?
In pratica si è osservato che quei soggetti che passano gran parte della loro giornata davanti ai social network e su internet hanno subito un abbassamento delle loro facoltà intellettive. In pratica questi soggetti hanno una scarsissima sogli d’attenzione, sono incapaci di sviluppare un senso critico.
Secondo quanto evidenziato dagli studi condotti dal King’s College di Londra, dall’Harvard Medical School e da Oxford si tratterebbe di una vera e propria riduzione della massa grigia che comporta disturbi dell’attenzione, incapacità di sviluppare ragionamenti e di memorizzare nozioni anche semplici, ma anche di sviluppare un senso di cognizione sociale.
A queste difficoltà si unisce la crescita di un profondo senso di solitudine, un vero e proprio controsenso in un’epoca in cui c’è una connessione globale (ma virtuale) ad ogni cosa. Un altro dato interessante emerge dallo studio condotto dalla dottoressa Gloria Mark dell’Università della California e che è conosciuto sotto il poco lusinghiero nome di “Demenza digitale”: la capacità d’attenzione dei giovani si abbassata dai 2,5 minuti del 2004 ai 47 secondi del 2016.
Un fenomeno che molti collegano ai social e al meccanismo dello scorrimento infinito (tipico delle home dei social e anche dei reel) che porta il soggetto a necessitare nuovi contenuti il più rapidamente possibile per ottenere la scarica di dopamina e al contempo crea dipendenza.
Per fortuna i giovani di oggi hanno consapevolezza del rischio e ci sono numerosi movimenti – nati proprio sui social – che spingono i giovani a ricercare attività al di fuori del web. La soluzione al “Brain Rot” infatti è proprio un utilizzo moderato delle piattaforme online, alternato ad attività in presenza e nella vita reale.