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Economia e Finanza

Lavoro, se mi dimetto per mobbing dopo posso avere la NASpI? La legge risponde

Un lavoratore che lascia l’impiego per mobbing ha diritto alla Naspi? A fornire i chiarimenti sul punto una circolare dell’Inps.

La Naspi (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego) è un’indennità mensile di disoccupazione che viene riconosciuta ai lavoratori che avevano un rapporto subordinato ed hanno perduto involontariamente l’occupazione.

Naspi, cosa accade in caso di dimissioni per mobbing (Abruzzo.cityrumors.it)

Detto ciò, si evince che l’indennità non spetta a quei lavoratori che hanno deciso di rassegnare le dimissioni o nel caso in cui vi sia una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Cosa accade, però, se il dipendente ha deciso di lasciare il proprio impiego per via di una serie di comportamenti persecutori subiti sul posto di lavoro? In caso di mobbing si ha diritto alla Naspi? Vediamo cosa dice la legge in questi casi.

Naspi, spetta al lavoratore che si dimette per mobbing? I chiarimenti

Con il termine mobbing si indica una condotta vessatoria e persecutoria subita da un dipendente sul luogo di lavoro. L’attuale legislazione non prevede uno specifico reato di mobbing, ma delle recenti sentenze della Corte di Cassazione hanno stabilito che tali condotte possono integrare il reato di stalking, previsto dall’articolo 612 bis del Codice Penale.

Naspi, i chiarimenti dell’Inps sulle dimissioni per giusta causa (Foto da Ansa) – Abruzzo.cityrumors.it

Un lavoratore che decide di licenziarsi in casi simili, nonostante non abbia rispettato i termini previsti dal contratto, non è tenuto a pagare alcuna indennità al datore. Ci si chiede, però, se, quando questo avviene, il dipendente possa avere diritto alla Naspi che è prevista per i lavoratori che hanno perduto involontariamente l’occupazione.

Trattandosi di una situazione di disoccupazione involontaria, dato che il soggetto è stato costretto a lasciare il proprio impiego, il soggetto che si dimette per mobbing ha diritto a percepire la Naspi. Nello specifico, come spiega l’Inps nella circolare n. 163 del 20 ottobre 2003, le dimissioni rassegnate per via di comportamenti vessatori da parte di superiori o colleghi si considerano tra quelle “per giusta causa”. Il datore di lavoro difficilmente ammetterà che le dimissioni siano arrivate per giusta causa, dunque, sarà necessario contestare la condotta per vie legali.

Il lavoratore, inoltre, dovrà dimostrare che le dimissioni siano derivate da tali condotte subite per ottenere l’indennità di disoccupazione. Queste prove potrebbero essere rappresentate da foto, video, messaggi, email o testimonianze dei colleghi. Il lavoratore potrebbe richiedere anche il risarcimento dei danni.

Infine, bisogna sapere che, secondo quanto stabilito da una sentenza della Corte di Cassazione, le dimissioni per mobbing, nonostante motivate da una giusta causa, non possono essere in alcun modo annullate.