“Metamorfismo e psicoterapia del cromatismo nell’arte di Duccio Di Monte” è il titolo della mostra personale del Maestro di Alba Adriatica che si terrà, a partire dal 12 gennaio sino al 26 gennaio 2019, nelle sale degli Alambicchi e Andrea Pazienza all’Aurum – Largo Gardone Riviera in Pescara.
L’esposizione presenta un nutrito corpo di opere, eseguite con tecniche di alta ricerca, frutto di oltre sessant’anni di attività.
Afferma il critico d’arte Aleardo Rubini “Attraverso il fil rouge della memoria di chi scrive questa nota l’immagine si dipana nei suoi semantemi, cui va aggiunto naturalmente il laboratorio delle idee, ossia lo studio, il luogo privilegiato dell’artista, un privato sancta sanctorum.
Qui l’ordinato “disordine” unisce tante e poi tante cose che diventano una specie di museo degli oggetti collocati per l’intero spazio disponibile.
Decine di metri e metri dove è possibile muoversi in compagnia dello sguardo di chi ha realizzato il tutto.
Vi prendevano/prendono corpo e sostanza le sue creazioni, si realizzava/realizza l’officina del progettuale. Non per nulla ci si trova di fronte a un dualismo (non tutti ne sono a conoscenza) : il pittore è anche un poeta, le sue creazioni vanno ricondotte al filone di un lirismo creativo, dove il tempo reale sfuma nel diaframma del sogno, il verso orizzontale è una coordinata dell’intera verticalità dell’insieme. E’ un riaffiorare della materia, un colorismo arabescato, materico non in superficie bensì da magma che sorge e snoda un’azione pittorica attuata per ritmi dilatati, riquadrature e perimetrazioni. Lo spazio rilancia cadenze, ritmi, riprese, come a superare gli angusti limiti della cornice. Verrebbe da pensare, più che ai contenuti, alle forme: un formalismo codificato come per un’analisi di geometrismi, tendenze cioè al racconto, non verso l’immaginario racchiuso in un solo istante.
La circolarità delle idee non rappresenta un limite espressivo, ma una variegata sequenza di pulsioni emozionali che attraverso i decenni sono sfociati nel comporre, nell’uso dell’oggetto applicato sulle superfici-pitture, risolte magari in strutturalismi. Lasciamo ad altri la lettura psicologica di questi snodi espressivi, esperienze ulteriori che accrescono il filo narrativo. Come a voler dire: rinnovarsi nella continuità di sequenze, dove il concetto e il simbolo non sono ossimori, realtà contrapposte, ma compenetrazioni ideali.
Chi ha seguito più o meno costantemente l’iter duccesco non può che convenire su due fattori essenziali: la materia e il colore.
Va da sé che alla fine facciano tutt’uno in un binomio inscindibile, come sono un binomio inscindibile la realtà e la fantasia, i poli per i quali esplica l’arte. Non per nulla, l’artista in una definizione della sua poetica parla di realtà trasfigurata in un sogno costante, nella dimensione di un mondo astrale.
Colpisce, in parecchi lavori, quello che è utilizzato, il resto viene dopo: ricordate il dispiegarsi di vetri e pietre reali, vetri colorati e pietre con l’accumulo di stagioni preistoriche?
Altrove lo spessore cromatico primeggia sul contenuto, denso e ribollente, una matrice vulcanica che anima tutto l’insieme, si dispiega in un vortice alato.
L’artista fissa e sigla per sempre lo sventagliare della forma, è questa ad imporsi nel groviglio che dilata sporgenze e rientranze, creste e pianori, orlature trasparenti, fantastici paesaggi specchiati nei titoli delle opere (se ben ricordiamo, una volta accennò al ghibli, che è il vento del deserto libico).
Il riferimento alle radici terragne, vedi caso il mare Adriatico, è costante come quello a cose extraregionali di un viaggiatore per il mondo alla ricerca di sensazioni, segni, emblemi e parole inserite nel contesto, titoli con rimandi espliciti alla musica ed epoche scomparse, vestigia di antichità. Come in un solfeggio si allineano Arcadia e rosoni di Cattedrali del Medioevo, trine, fiorettate e sagome geometriche, figure risolte in senso astratto e informale.
L’andare oltre il titolo fra sospensioni e smarrimenti, dà vita ad evanescenze dissolte in tinte leggere, un solo accenno, appena la sagoma.
Le visioni oniriche o metafisiche esplicitate alcuni titoli si alternano a dettati altri, come Cristo risolto a Eboli e in parole evocanti misteriose lontananze, oltre i confini del tempo e dello spazio (Siddharta), o che riconducono al vivere quotidiano (Sei solo sei tutti, dove l’assunto ungarettiano è rovesciato e finisce con l’assumere un significato opposto).
In ultima analisi, ci si trova di fronte non al solo fattore estetico, ma anche al portato etico e sociale, un Neo-umanesimo in grado di coinvolgere gli strati sociali”.