Castelli è un piccolo paese immediatamente sotto il Gran Sasso, inserito fra i borghi più belli d’Italia, noto in tutto il mondo per la ricca produzione ceramica avviata fin dal Rinascimento con esiti straordinari, ed arricchita man mano nel corso dei secoli con splendide stagioni artistiche come quella in stile compendiario o quella barocca.
L’artigianato artistico ancora oggi fiorente, ha offerto nel coso dei secoli sostentamento, anche attraverso le produzioni correnti e l’indotto, ad una popolazione che si è andata configurando all’interno di quest’unica economia. Castelli infatti è uno dei pochi centri italiani dove tutti in passato, ed in parte ancora oggi, erano e sono dediti ad un’unica attività produttiva ovvero la ceramica.
Ma chi erano questi castellani? e com’erano?
Qualche anno fa, un mio amico mi mostrò dei contenitori rettangolari in legno con dentro i vecchi negativi su vetro del padre il pittore su maiolica e prof. Antonio Rosa (Castelli 1891 – 1979); erano tutti di piccole dimensioni, ben conservati e sistemati in ordine. Li guardai in controluce, e mi accorsi subito che erano dei bellissimi ritratti, un patrimonio da scoprire. Incuriosito, li chiesi in prestito e incominciai ad acquisirli con uno scanner, e così, pian piano riemersero da un passato, anche se recente, questi volti antichi.
Negli anni ’20, ma ancora oggi è così, a Castelli non c’era un fotografo. Ed il professor Antonio Rosa, insegnante di ceramica presso la locale Regia Scuola d’Arte, all’epoca era uno dei pochi che possedeva una macchina fotografica. Avvenne così, che quando ci si recava in comune per avere la carta d’identità, oppure per preparare i documenti per espatriare, alla ricerca di nuove opportunità lavorative, ci si trovava di fronte alla richiesta di una fotografia. Dal paese, dalle frazioni e dalle campagne, andavano dal professor Antonio a chiedere un ritratto! E lui, con la grazia di un pittore, scattò per anni ed anni fotografie e fototessere.
Tutto si svolgeva in casa sua, in fondo a via Felice Barnabei, con il solo aiuto di una tenda o di un arazzo per sfondo e con i figli che reggevano un grosso specchio per riflettere la luce naturale che entrava dalla finestra.
Dagli anni ’20 agli anni ’50 migliaia di castellani passarono così davanti al suo obbiettivo, con sguardi diversi, facce così oggi non se ne vedono più in giro, con l’abbigliamento dell’epoca: le donne con le collane di corallo, gli uomini con i fazzoletti dell’Albania o di Tripoli nel taschino della giacca.
Questo archivio umano, che adesso viene esposto in una mostra a Castelli, unico nel suo genere, sia per il numero di fotografie presenti sia per l’estensione cronologica delle riprese, assume una rilevanza che va ben oltre l’uso a cui erano destinate investendo l’identità e la memoria collettiva di questo paese, di questa regione e della storia italiana recente.
La mostra “Mosaico Castellano. Tessere di una memoria collettiva” è stata inaugurata il 28 luglio a Castelli e rimarrà aperta per due mesi, curata da Diego Troiano, e organizzata dalla locale Pro loco, ha visto, per la particolare sua natura intimistica ed emotiva, il coinvolgimento di tutto il paese, che ha recuperato con queste fotografie il ricordo del nonno, dello zio, della madre di un amico: Nino di Simone e suo figlio Giantommaso hanno messo a disposizione i locali per l’esposizione, un gruppo di giovani ha poi fatto il resto capeggiati da Luigi De Fabritiis, Alessandro Pardi, Eugenio Melchiorre.
Le signore del paese hanno preparato le torte ed i tipici dolcetti tipici per l’inaugurazione, i soci della Pro loco a turno terranno aperta la mostra. Il tutto è stato fatto in casa, sottolineando ancor di più quell’aspetto familiare che le stesse immagini evocano. Il successo di pubblico all’inaugurazione fa ben sperare che gli ingredienti di questa mostra concorrono al successo dell’iniziativa che aggiunge la fotografia, alla già ricca offerta turistica che il paese offre, la ceramica d’arte, la gustosa cucina e la prorompente bellezza della natura.
Diego Troiano