“Per quelli della nostra generazione, lo spot della Plasmon che mostra il colosso intento a scolpire il marchio sulla colonna, rappresenta – si legge tra le motivazione che hanno spinto il regista giuliese, autore del soggetto insieme ad Albert Pepe, a produrre il video – una di quelle immagini indelebili che, impressionatasi nella memoria nell’adolescenza, ti accompagna per tutta la vita, riaffiorando tra i ricordi di tanto in tanto, chissà per quale processo della mente. La strategia comunicativa dello spot è in verità piuttosto semplice; se mangi i biscotti diventi come Maciste. Difficile, per un bambino, non desiderare di essere l’omone che batte il martello, impossibile evitare di identificarsi in lui. Eppure, nell’immaginario collettivo, L’Uomo Plasmon è soltanto un corpo scultoreo voltato di spalle, senza volto e senza voce. Potere delle immagini! Pensate ora cosa può significare, per un bambino, conoscere di persona il proprio “eroe”, vivere addirittura nello stesso paesello, ammirarlo passeggiare mastodontico sulle spiagge, ascoltare estasiati le numerose e generose imprese che “l’Uomo Plasmon” (così è chiamato tutt’oggi dalle nostre parti) ha compiuto grazie alla sua straordinaria forza. Pensate ora allo shock che la sua tragica vicenda ha provocato nella ristretta comunità giuliese, nella sua famiglia, e in tutti quelli che avevano conosciuto di persona Gabriellino il “gigante buono”, taciturno e fiero; le stesse “virtù” che gli hanno consentito di sopravvivere a venti anni di carcere duro in Egitto, stabilendo uno straordinario record. Noi vogliamo raccontare la storia di una icona pubblicitaria che, restituita alla realtà, mette deliberatamente in gioco la propria vita, il proprio corpo. Un corpo finalmente svelato per intero; un personaggio che vive da sempre nella nostra mitologia infantile si mostra eccezionalmente nella sua “nudità”, si rivela. Non si tratta però di un pentimento, quanto piuttosto di un resoconto, di un “racconto di viaggio”, e che viaggio. E’ tornato dall’inferno per narrare la sua Odissea. La sua storia ha una misura epica, che nella sua eccezionalità pare finta come la figura del protagonista. Il suo corpo di sessantenne, dopo oltre vent’anni di carcere, contiene ancora qualcosa di prodigioso e di sinistro, e già questo pare averlo escluso da un’esistenza “normale”. Prima corteggiato dai signori della pubblicità, poi da quelli della Mafia. L’Uomo Plasmon è in definitiva una sorta di “Carnera della malavita”, che parla con difficoltà di sé ma è parlato da tutti gli altri, e di questo pare che lui abbia bisogno per reperire una sua identità. In un Paese in cui l’impunità è ormai un fenomeno dilagante, la biografia di Fioravante Palestini assume paradossalmente un carattere “esemplare”. È, in fin dei conti, la storia di un uomo qualunque che ha pagato molto amaramente i suoi errori, a differenza – conclude Del Grosso – di quanto accade oggi in Italia”.
Un documentario di Simone Del Grosso
Soggetto: Simone Del Grosso, Albert Pepe
Fotografia: Antonio Rosano, Marco Fracassa
Animazioni: Andrea Fresnot
Disegni: Ugo Pepe
Musiche originali: Graziano Caprioni
Sound design: Matteo Simone
Montaggio: Simone Del Grosso
Produzione: Logicfilm, Fabula film
Teaser del documentario “La vera storia dell’uomo plasmon”