Si sta infatti verificando il fenomeno di over-fishing, ovvero di sovrasfruttamento delle risorse ittiche, che comporta una riduzione drammatica di biomassa e biodiversità. Responsabili: la pesca a strascico, le spadare e le reti da posta che stanno causando una moria di cetacei, soprattutto dei Tursiopi (delfini costieri). I pescatori riconvertiti che non utilizzano più le spadare dispongono di fondi pubblici ma, essendo proprio loro i custodi delle reti in questione, questo tipo di pesca prosegue indisturbata, soprattutto in Sicilia e a Ponza. “A farne le spese”, precisa Serena Maso, coordinatore Shark Alliance, “sono gli italiani, che intanto pagano i 7milioni di euro di multa che l’Ue prevede per l’utilizzo di spadare.” Oltre ai cetacei, anche i temuti predatori dei mari sono in pericolo, si registra infatti, il 97% in meno di presenze di questi pesci nelle nostre acque. Gli squali vengono pescati innanzitutto per la loro carne – nel nostro mare soprattutto palombo e gattuccio -, inoltre lo squalene viene impiegato per cosmetici e vaccini (tra cui quello per l’influenza suina); le pinne poi sono una prelibatezza e spesso si assiste al finning, che consiste nell’abbandono in acqua dei corpi ancora in vita di squali cui è stata tagliata la pinna. Spesso al posto del merluzzo nei fish&chips troviamo lo spinarolo, meno costoso del pesce azzurro. L’Italia è il quarto maggior importatore al mondo di carne di squalo (dopo la Spagna, la Corea ed Hong Kong): acquistiamo squali sviscerati, venduti in filetti e in tranci, facilmente confondibili con altri pesci. Il consumatore, spesso scarsamente informato, non sempre è in grado di comprendere che il proprio comportamento alimentare rischia di far sparire per sempre i pesci più importanti per gli equilibri marini, tra questi anche il tonno rosso e il delfino. Per quanto riguarda i cetacei, Vincenzo Olivieri, responsabile scientifico del museo del Mare di Pescara, annovera tra le principali cause di spiaggiamento nell’Adriatico le attività di pesca di tipo industriale: “Mi riferisco alla pesca a strascico che comporta notevoli quantità di catture accessorie tra cui cetacei e tartarughe marine, ma anche alla piccola pesca, quella fatta da tramagli o reti da imbrocco”, spiega, “Si tratta di reti che vengono disposte parallelamente alla costa e hanno un incremento della loro attività nei periodi di fermo biologico. L’anno scorso si sono spiaggiati sulle nostre coste 10 cetacei nel giro di una settimana. Per risolvere il problema, l’Unione Europea ha già avanzato delle proposte legislative ma bisogna applicarle.” Basterebbero ad esempio dei dissuasori che, piazzati tra le reti, emettono delle onde fastidiose per i delfini. Infine, Olivieri tocca un tasto dolente che ha indignato tutti i presenti al convegno: “Il museo del Mare è in una fase di ristrutturazione, la nuova sede non è ancora pronta ed è ferma da 12 anni. Questa è una città che ha grandi tradizioni marinare per cui sarebbe un grande passo in avanti per Pescara avere un suo museo del mare Adriatico.” Un appello, quello lanciato da Olivieri, che in questo momento di sforbiciate continue alla cultura rischia di rimanere nel dimenticatoio. Intanto, il museo del mare ospita una piccola collezione cetologica che ha come tema quello della tutela di questi animali.
Jenny Pacini