Sostanzialmente confermato l’impianto accusatorio della procura. Tra i condannati anche l’ex calciatore azzurro Vincenzo Iaquinta, estraneo all’associazione mafiosa ma ritenuto responsabile di reati connessi alla detenzione di armi da fuoco.
Il nord Italia, ed in particolare la zona di Reggio Emilia è stata fortemente infiltrata dalla Ndrangheta attraverso una vera e propria ‘ndrina locale, diretta emanazione della cosca Grande Aracri di Cutro. A metterlo nero su bianco è la sentenza di primo grado del processo “Aemilia”, che ha visto alla sbarra 148 imputati, di cui 125 condannati, 19 assolti e 4 prescritti.
Gli imputati per i quali è stata accertata l’appartenenza all’associazione malavitosa sono tutti stati condannati a pene superiori ai 15 di reclusione. Pene pesanti anche per gli imprenditori emiliani collusi con l’Ndrangheta, che hanno rimediato condanne fino a 9 anni di carcere.
Tra i condannati anche l’ex giocatore della nazionale Vincenzo Iaquinta, condannato a due anni di carcere per reati connessi alla detenzione di armi. Pena ben più pesante invece per il padre del calciatore, Giuseppe Iaquinta, condannato a 19 anni di reclusione per associazione mafiosa.
“Non è possibile. Andremo avanti – ha commentato Iaquinta dopo la lettura della sentenza – mi hanno rovinato la vita sul niente perché sono calabrese, perché sono di Cutro. Io ho vinto un Mondiale e sono orgoglioso di essere calabrese. Noi non abbiamo fatto niente perché con la ‘ndrangheta non c’entriamo niente.”