Il contenzioso riguardava l’ampliamento di un edificio in contrada Casoli, per circa ottomila metri cubi, al posto più modesto fabbricato preesistente, con il cambio di destinazione d’uso commerciale. Ma l’istanza di condono presentata dalla società non era stata accolta dal Comune a causa della mancanza di una documentazione appropriata.
Nel 1992 il Comune di Teramo trascrisse nella Conservatoria dei Registri Immobiliari il verbale d’inottemperanza dell’ordine di demolizione. Ma il bene rimase lo stesso nel possesso della società, che continuò ad esercitarvi la propria attività. Nel 1994 la ditta beneficiò della nuova legislazione in materia di condono edilizio e ottenne la sanatoria, cui seguì la cancellazione della trascrizione alla Conservatoria e nel 1997 venne avviato il contenzioso giudiziario.
Con sentenza del Tribunale di Teramo del 2007, il Giudice stabilì che il procedimento repressivo dell’abuso edilizio presentava vizi di legittimità e che pertanto poteva causare alla società danni risarcibili. Contestualmente, un diverso procedimento giudiziario, stabilì un risarcimento di circa due milioni di euro. Ma la Corte d’Appello de L’Aquila ha poi ribaltato il primo giudizio, e quindi si è giunti alla Cassazione.
Questa sentenza di Cassazione ha dunque concluso positivamente la vicenda per l’ente, che ha ottenuto la certezza di non essere soggetto al pagamento di alcuna somma a titolo di rimborso danni. Al contrario, in favore del Comune è stata liberata la somma di 357.811,98 euro fino ad ora pignorata per gli effetti connessi alle procedure legali del contenzioso.
La Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità dei ricorsi presentati ed ha accertato l’insussistenza di qualsivoglia danno risarcibile in favore della società privata.