E’ un passaggio delle conclusioni di uno studio commissionato al geologo Giovanni Marrone in collaborazione con l’Università Politecnica di Ancona. La relazione è molto chiara nella sua analisi, evidenzia una serie di criticità dopo l’immissione di liquido tracciante all’interno dei Laboratori di fisica nucleare del Gran Sasso.
Queste considerazioni, quanto mai attuali, però, si riferiscono ad un approfondito studio del 2003. Ben 14 anni quando l’Acar (ora Ruzzo Rti) diede un incarico professionale per verificare una serie di aspetti critici sulla compatibilità tra gli acquiferi e le sorgenti del Gran Sasso con i laboratori e il traforo. Un effetto quello studio geologico lo ottenne. I fondi destinati alla realizzazione della cosiddetta terza canna furono destinati alla messa in sicurezza dei laboratori di fisici nucleare.
Ma quei lavori come sono stati fatti? Sono stati completati? E che sicurezza c’è per le acque di captazione che poi finiscono nella condotte? E poi, dopo i lavori perché un’analoga operazione di verifica sui collegamenti
Idraulici tra il laboratorio e le vasche del Ruzzo non è stata ripetuta? Esiste una impermeabilizzazione tale da ridurre il rischio di contaminazione?
Domande e questi quanto mai attuali, alla luce di quello che è accaduto nei mesi scorsi e dell’allarme contaminazione che si era originato una settimana fa.
Anche se sono trascorsi 14 anni da quello studio, tante cose non sembrano essere mutate o perlomeno che alcune criticità siano rimaste le stesse di allora.
Nella relazione del 2003, infatti, si evidenziano alcuni aspetti interessanti. “La condotta drenante delle acque del Laboratorio”, si legge, “mostra di avere contatti idraulici con la condotta dell’acquedotto del Ruzzo in uno o più tratti. Pertanto immissioni accidentali nella rete di drenaggio finiscono con il confluire anche nella condotta del Ruzzo. Condotta che in ogni caso già allora era messa a riposo e non utilizzata a fini potabili”.
La presenza di tracciante nella vasche di sbarramento dell’acquedotto teramano testimoniano connessioni idrauliche e idrogeologiche con l’area del laboratorio. Pertanto, si legge ancora, sostanze immesse accidentalmente nel sistema di drenaggio nel laboratorio andranno a contaminare le acque sotterranee dell’acquifero che alimenta gli acquedotti”.
Ma le considerazioni delle relazione presentano ben altri rischi di contaminazione e inquinamento.
Gli acquiferi che alimentano i sistemi di captazione sono a rischio di elevato inquinamento a causa di sversamenti di varia natura che in maniera accidentale potrebbero verificarsi dai laboratori. Così come la velocità delle acque sotterranee comporta una elevata vulnerabilità agli inquinanti.
Così come il rischio di immissione di inquinanti nelle gallerie autostradali, con effetti di contaminazione delle acque sotterranee appare elevato.
” I risultati di prova”, sottolinea ancora nella relazione Giovanni Marrone, ” hanno messo in evidenza la carenza di conoscenze idrogeologiche del massiccio del Gran Sasso e in particolare l’assenza di particolari conoscenze sulla circolazione idrica sottostante e sui rapporti idraulici tra i diversi acquiferi (versante teramano e aquilano). Tali conoscenze risultano fondamentali per la delimitazione delle zone di tutela e di riduzione del rischio di inquinamento”. Realizzare opere di tutela delle acque sotterranee e di prevenzione dell’inquinamento non più rinviabili. Questo lo si diceva nel maggio di 14 anni fa. Ora la situazione è la stessa di allora? Domande chiare che forse necessitano di avere risposte e verifiche esaustive.
LO STUDIO COMPLETO
Relazione finale fluoresceina maggio 2003